Finisce dopo 15 anni l’era di Pepe Mujica. Il partito progressista del popolarissimo ex presidente dell’Uruguay, il Frente Amplio, è stato ancora il più votato alle ultime elezioni politiche nel Paese sudamericano, ma questo non è bastato per superare la coalizione di centrodestra, guidata da Luis Lacalle Pou e dal suo Partido Nacional. La sconfitta di Daniel Martinez, ex sindaco di Montevideo e ancora prima ministro nel governo di Tabaré Vázquez, il predecessore di Mujica, era in realtà nell’aria e anzi è arrivata di misura: il centrodestra ha ottenuto il 48,7%, contro il 47,51% dei socialisti di cui Mujica è da anni la figura di riferimento, pur avendo ricoperto la carica di presidente solo per un mandato, dal 2010 al 2015.
La storia di Mujica è nota a molti ed ha affascinato il mondo, in particolare le sinistre europee che a lui hanno provato ad ispirarsi: da ragazzo, negli anni ’60, aderì all’organizzazione ribelle dei Tupamaros, partecipando alla rivolta dei contadini e dei nativi, che però fu duramente repressa dopo il colpo di Stato militare del 1973. Mujica fu imprigionato e rimase per ben 12 anni in carcere: fu liberato solo nel 1985, quando nel Paese venne ristabilita la democrazia. Ha poi ripreso a fare politica, diventando per la prima volta senatore nel 2000 e ministro dell’Agricoltura nel 2005, con il governo Vazquez. Nel 2010 è diventato presidente sconfiggendo nettamente Luis Alberto Lacalle, presidente uruguayo dal 1990 al 1995 e padre del neo eletto Lacalle Pou.
Mujica ha lasciato il segno soprattutto per la sua sobrietà: ha sempre rinunciato ai privilegi da presidente, accontentandosi di uno stipendio pari all’equivalente di 800 euro al mese e di una vita assolutamente spartana. Ha sempre tenuto a ricordare, nei suoi discorsi, il valore fondamentale del tempo: “O si è felici con poco, o non si va da nessuna parte. Abbiamo creato una società consumistica, basata sulla crescita economica: se l’economia non cresce, è una tragedia. Per questo ci siamo inventati una montagna di consumi superflui. Ma ciò che sperperiamo è il nostro tempo: quando compriamo qualcosa, non lo compriamo con i soldi, ma col nostro tempo”. Tuttavia, la sua era ha segnato anche la rinascita economica di un piccolo Paese da poco più di 3 milioni di abitanti.
Oltre alle più note leggi sulla regolamentazione del mercato della marijuana e sui matrimoni gay, per le quali l’Uruguay è tra i Paesi del Sudamerica (e del mondo) più all’avanguardia, pochi conoscono anche i risultati economici dei 15 anni al potere del Frente Amplio. Nel decennio tra il 1994 e il 2004, l’Uruguay è cresciuto in media ogni anno solo dello 0,4%, facendo meglio solo di Zimbabwe, Congo e Burundi; dal 2005 al 2015 la crescita media annua è stata invece del 5,4%, un dato superiore – per forza di cose – a quello di qualsiasi Paese europeo, ma anche del Brasile, ad esempio. Non solo: l’Uruguay è stato negli ultimi anni eletto tra i 25 Paesi più green del mondo dal Global Green Economy Index, e al primo posto, secondo l’università di Yale, per qualità dell’aria e forestazione. Il piccolo Paese incastonato tra Argentina e Brasile produce alimenti per 10 volte la sua popolazione.
Trenta milioni di persone possono dunque essere nutrite dal sistema agroalimentare uruguaiano, che peraltro da anni vanta il 100% di tracciabilità per agrumi, miele, vigneti, carne aviaria e bovina. Il Paese ha pensato anche alle future generazioni: è stato il primo al mondo a mettere in atto il Plan Ceibal, avviato nel 2007 e basato sul progetto “One Laptop per Child”. Grazie a questo programma tutti i bambini delle scuole elementari (obbligatorie e pubbliche per tutti) hanno ricevuto un pc portatile dal proprio istituto. Questo ha fatto sì che secondo l’Onu l’Uruguay ha l’indice di alfabetizzazione più alto del Sudamerica (99,3%, pari a quello italiano). L’indice di povertà, che nella vicina Argentina è esploso al 35%, è a livelli molto bassi e anche l’aspettativa di vita ha ormai superato quella dei vicini rioplatensi.
Nonostante questo elenco di indiscutibili successi e una figura carismatica come quella di Mujica (che però si è da qualche anno ritirato dalla vita politica), il popolo uruguaiano ha sentito la necessità di cambiare. La scelta comunque non è stata e non sarà traumatica: Lacalle Pou è un 46enne avvocato di idee moderate e pur essendo vicino alla Chiesa (il papabile ministro dello Sviluppo sociale è un membro dell’Opus Dei) ha già lasciato intendere che non toccherà la virtuosa architettura dei diritti civili che tutto il mondo invidia al suo Paese. Forse verrà messo in discussione solo l’aborto, che peraltro già in molte aree dell’Uruguay non viene di fatto praticato, a causa delle numerose obiezioni di coscienza: c’è infatti timore sull’assegnazione del ministero della Salute, che potrebbe andare al partito di estrema destra Cabildo Abierto, reduce da un sorprendente 11% alle elezioni.
Ci saranno invece certamente novità sul fronte dell’economia e della sicurezza. La crescita negli ultimi anni è oggettivamente molto rallentata: di fatto l’Uruguay, come molti altri Paesi del Sudamerica, è in stagnazione, e sono aumentati deficit e disoccupazione. Per questo Lacalle Pou ha in mente una riforma fiscale per agevolare l’imprenditoria, in particolare quella agricola che è il punto di forza dell’intero sistema. Anche la criminalità purtroppo è aumentata: per quanto a Montevideo e dintorni non si stia respirando l’aria pesantissima di altri Paesi vicini (Cile, Bolivia, la stessa Argentina), il nuovo governo è deciso a mettere in atto misure molto più repressive contro il crimine. Anche in Sudamerica, e non solo in Europa, le elezioni si stanno sempre di più giocando sulla sicurezza (e sulla sua percezione).
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Articolo di propaganda del solito neoborbonico di estrema sinistra.......la criminalità non esiste, è solo percepita, matrimoni gay, ambientalismo talebano e bla,bla,bla.......intanto ha vinto il centrodestra e spero spazzi via i pauperismi dei mujica e tutto il ciarpame rosso.