X

Upb: a politiche invariate manovra 2025 supera 20 miliardi. Dal cuneo fiscale effetti distorsivi, su Irpef create disparità

Imagoeconomica

Se per il 2025 il Governo confermerà alcuni degli interventi finanziati dall’ultima manovra solo per il 2024 (dal taglio del cuneo, alla Zes per il Mezzogiorno, dalla riduzione del canone Rai alla detassazione dei premi) l’impatto sul deficit sarà di circa 18 miliardi. Lo afferma l’Upb, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel suo rapporto annuale presentato mercoledì a Roma, sottolineando che, se a questi 18 miliardi si aggiungessero anche altre spese solitamente inserite nelle politiche invariate, come ad esempio gli oneri per il prossimo triennio contrattuale dei dipendenti pubblici (2025-27), l’impatto complessivo sull’indebitamento netto potrebbe superare quello indicato nel Def, di poco inferiore ai 20 miliardi. A questa cifra va aggiunto lo sforzo fiscale per la correzione dei conti dello 0,5%-0,6% l’anno che l’Ue chiederà all’Italia aprendo la procedura per deficit eccessivo, e che si traduce in 10-12 miliardi di euro. Il governo, spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio, ha rinviato la predisposizione del quadro programmatico alla presentazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psg) che dovrebbe avvenire entro il 20 settembre.

“Qualora nel Psb venissero confermati obiettivi in linea con le attuali previsioni a legislazione vigente sarà necessario individuare nella prossima manovra di bilancio idonee coperture per le politiche invariate che si deciderà di attuare e per eventuali nuovi interventi”, si legge. “Nel Def, si afferma che verrà data priorità al rifinanziamento del taglio del cuneo fiscale sul lavoro – viene evidenziato – A riguardo, dovrà essere chiarito se si intende rendere la misura strutturale individuando corrispondenti risorse di copertura”.

Numeri alla mano, al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, serviranno 30-32 miliardi per mettere a punto la prossima manovra di bilancio mantenendo l’impegno a rifinanziare alcune misure già in essere quest’anno. 

Nel 2024 il Pil crescerà dello 0,8% nel 2024, ma il Superbonus rimane un’incognita

Le proiezioni macroeconomiche dell’Upb “non si discostano significativamente da quelle del Governo, ma sono un po’ più caute”, si legge nel rapporto annuale in cui l’Ufficio Parlamentare di Bilancio prevede per il 2024 una crescita del Pil pari allo 0,8%, una temporanea accelerazione nel 2025 all’1,1% e successivamente un nuovo rallentamento (allo 0,8 per cento nel 2026 e allo 0,6 nel 2027). “Le stime sulla crescita sono state riviste lievemente al ribasso rispetto a quelle dell’autunno scorso, principalmente per via del deterioramento del contesto internazionale”, evidenzia ancora il report. Per quanto riguarda l’inflazione, si attende una flessione dei prezzi al consumo intorno all’1,5% nel 2024 e in seguito una graduale convergenza verso il 2%; “tuttavia l’instabilità geopolitica è tale per cui l’inflazione nei prossimi anni potrebbe risultare più volatile di quanto prospettato”, sottolinea l’Upb, secondo cui il pil nominale crescerà del 3,5% nella media del biennio 2024-25, per poi rallentare a fine periodo (2027) poco al di sotto del 3%.

Una spinta arriverà dalla “piena e tempestiva realizzazione” del Pnrr che potrebbe portare a “un aumento del Pil per quasi tre punti percentuali cumulativamente nel 2026”. Sulla finanza pubblica pendono invece “diversi elementi di incertezza”, tra i quali spiccano il Superbonus e la Transizione 4.0 “Sebbene il recente decreto legge 39/2024 abbia disposto interventi volti a contenere gli oneri del Superbonus per i prossimi anni, – si legge – non si possono escludere effetti inattesi”, è l’alert dell’Upb

Cavallari (Upb): “Il debito è un fattore di vulnerabilità per l’Italia, no a interventi in disavanzo”

Per quanto riguarda il deficit, l’Upb segnala che nel 2023 è stato pari al 7,4%, “in riduzione rispetto all’anno precedente, ma ancora elevato per il quarto anno consecutivo”. Inoltre, per il ” terzo anno consecutivo, è proseguita la discesa del rapporto tra il debito pubblico e il Pil, che si è attestato al 137,3%, 17,6 punti percentuali in meno rispetto al picco registrato nel 2020″. “Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL è atteso aumentare fino al 2026, quando raggiungerebbe il 139,8 per cento, per poi ridursi di due decimi di punto nel 2027; sul profilo del debito incidono in misura rilevante le ingenti compensazioni d’imposta legate agli incentivi fiscali per il settore edilizio degli ultimi anni”, si legge nel rapporto

“La politica di bilancio italiana ha di fronte un percorso di risanamento volto a ridurre il peso di un debito pubblico elevato che costituisce un fattore di vulnerabilità per l’economia del Paese, oltre a sottrarre risorse a impieghi produttivi e socialmente utili”, ha affermato la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari (nella foto) nella relazione alla presentazione del Rapporto annuale. “È un percorso ambizioso che limita la possibilità di effettuare interventi in disavanzo, ma che fornisce altresì una opportunità da cogliere. È l’opportunità  di disegnare una politica di bilancio che guarda al futuro”. 

“Coniugare crescita, inclusione sociale e sostenibilità della finanza pubblica – prosegue Cavallari – richiede politiche di bilancio e interventi di riforma lungimiranti e credibili, capaci di aggredire le debolezze che limitano il potenziale dell’economia e il pieno sviluppo dei diritti sociali”. In Italia, anche nel corso della pandemia, la struttura produttiva ha dato “prova di resilienza e capacità di adattamento a shock significativi”. Ciononostante, le imprese italiane continuano ad essere “sottocapitalizzate e hanno difficoltà a crescere e affermarsi, soprattutto nei settori a tecnologia avanzata, e risultano meno innovative nel confronto internazionale”. Per la Presidente dell’Upb c’è “spazio per una razionalizzazione del prelievo sulle imprese volta ad assicurare la neutralità rispetto alle modalità di finanziamento d’impresa, incentivare la creazione di nuove imprenditorialità e la realizzazione di investimenti sulla frontiera della tecnologia, in particolare nei territori e nei settori meno dinamici”.

Parlando delle nuove regole del Patto di Stabilità, che secondo l’Upb richiederanno uno sforzo minimo di consolidamento per ogni anno potrebbe essere compreso tra 0,5 e 0,6 punti percentuali di Pil nell’ipotesi di un sentiero di aggiustamento in sette anni”, Cavallari afferma che l’impegno di risanamento “è nondimeno rilevante, soprattutto alla luce degli andamenti demografici che, oltre a ridurre la popolazione attiva, potrebbero determinare un aumento nelle esigenze di cura, assistenza e sostegno alle persone anziane”. È un percorso, aggiunge, che impegna “la politica di bilancio a dare continuità’ allo sforzo di consolidamento lungo l’intero orizzonte del Piano, in cambio di una gradualita’ di azione che mitiga l’entita’ della correzione necessaria anno per anno rispetto alle regole precedenti di riduzione del debito”, conclude la presidente dell’Ufficio. 

Upb: dal taglio del cuneo fiscale effetti distorsivi

Tra le misure che il governo ha detto di voler confermare per il 2025 c’è soprattutto il taglio del cuneo fiscale. Secondo l’Upb, l’impatto sulla progressività del taglio del cuneo fiscale complessivo”è ovviamente positivo”, ma il sistema per fasce di reddito anziché a scaglioni “altera il profilo delle aliquote marginali. La distorsione è tale da generare una trappola della povertà vicino alle due soglie di reddito oltre le quali si abbassa o viene meno lo sgravio contributivo (25mila e 35mila euro), con aliquote marginali superiori al 100 per cento”. 

L’aumento di un solo euro del reddito, spiega il rapporto, “determina una diminuzione dello sconto e quindi del reddito disponibile, di circa 150 euro quando si superano i 25mila euro lordi e di circa 1.100 euro superati i 35mila euro lordi. Questo fenomeno diventerebbe estremamente rilevante se la decontribuzione dovesse diventare permanente”.

La tassazione sulle famiglie: su Irpef creata disparità

“Nell’ultimo decennio l’Irpef è stata interessata da diversi interventi che hanno ridotto il carico fiscale spesso a scapito dell’equità del prelievo e della sua capacità redistributiva” sottolinea l’istituzione guidata da Lilia Cavallari, in un approfondimento tematico che mostra “l’effetto negativo del drenaggio fiscale (ovvero l’incremento del prelievo per effetto dell’inflazione, ndr) nei dieci anni considerati più che compensa l’effetto positivo determinato dalle modifiche normative”.

Secondo l’Upb “per il complesso dei lavoratori dipendenti le modifiche normative hanno comportato una riduzione del prelievo di circa 3 punti percentuali, che viene tuttavia più che compensata dall’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali, con un saldo sul reddito disponibile negativo per circa 0,6 punti. Per i pensionati e gli autonomi entrambi gli effetti, della normativa e del drenaggio fiscale, sono di entità minore”. 

“A queste modifiche della struttura dell’imposta personale si è affiancata una progressiva erosione della base imponibile dell’imposta, che ha ridotto l’equità del prelievo e la sua capacità redistributiva”, spiega l’Ufficio, aggiungendo che “è stata sottratta alla progressività dell’Irpef una quota rilevante del reddito da lavoro autonomo, comportando una violazione del principio di equità orizzontale del prelievo, creando disparità di prelievo sia tra percettori di diverse tipologie di reddito (lavoratori autonomi e dipendenti), sia tra lavoratori autonomi». L’analisi dettagliata dell’Ufficio parlamentare di bilancio non prende in considerazione il provvedimento di decontribuzione vigente nel 2024, cioè il taglio del cuneo che invece, per i redditi inferiori a 35.000 euro, “più che compensa l’incremento di imposta reale”.

Pensioni anticipate solo con ricalcolo assegni

Il secondo approfondimento parla di pensioni e l’Upb lo dice chiaro e tondo: “Non appare plausibile che misure” che vadano verso il ripristino di requisiti pensionistici meno stringenti “possano autofinanziarsi nel breve-medio periodo senza pesare sui saldi di bilancio, sottraendo risorse ad altri istituti del sistema di welfare”. Da qui, la conseguenza è quasi ovvia: “Un’eventuale revisione dei requisiti di uscita verso un assetto flessibile con intervalli di età e anzianità entro cui il lavoratore possa scegliere, dovrebbe accompagnarsi all’applicazione di correttivi attuariali per gli assegni e le quote degli assegni basati sulle regole di calcolo retributive”, spiega l’Upb, evidenziando che in questa direzione si è già “prudentemente mossa le legge di bilancio per il 2024 che ha rinnovato Quota 103 per un ulteriore anno, ma con la significativa modifica del ricalcolo contributivo degli assegni”. 

“Non si può escludere che il ripristino di requisiti pensionistici meno stringenti possa facilitare il turnover tra generazioni, gli ingressi al lavoro dei più giovani e anche la stabilizzazione dei già occupati, ma restano lontane le proporzioni auspicate nel 2019 quando, all’introduzione di Quota 100, il primo canale temporaneo per l’uscita con requisiti inferiori a quelli ordinari, si sperava in almeno tre nuovi occupati per ogni pensionato senza particolare riguardo alle modalità contrattuali”, conclude l’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Related Post
Categories: Economia e Imprese