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Università: l’Italia destina solo l’1,5% della spesa pubblica contro il 2,3% della Ue. Il boom delle telematiche

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L’evoluzione del sistema universitario come specchio dell’intera società: alle prese con un pronunciato calo demografico, l’innovazione tecnologica, il livello esiguo dei fondi, le differenze territoriali.
L’Area Studi Mediobanca ha presentato un report che ripercorre le linee evolutive delle università dell’ultimo decennio, paragonandole con altri paesi e sottolineando come sia importante la presenza e l’attrattività degli studenti stranieri, mentre non aiutano le modeste risorse destinate per la formazione universitaria. Di contro fa scalpore il boom delle università telematiche.

In calo di oltre il 21% il numero degli studenti universitari da qui al 2041

Da qui al 2041 il numero degli studenti universitari scenderà di oltre il 21%, con punte più elevate al sud, anche per effetto anche del calo demografico. Ciò porterà a una riduzione delle rette di frequenza stimabile in circa 500 milioni di euro, dice il rapporto di Mediobanca. Compensa in parte il calo degli studenti italiani la presenza di quelli stranieri. Ma certamente non aiuta il limitato investimento dell’Italia nell’educazione universitaria, rappresentato solo dall’1% del PIL, dice il rapporto di Mediobanca.
Questa percentuale è al di sotto della media Ue dell’1,3% e dell’1,5% dei Paesi OCSE. Mentre in termini di spesa pubblica il nostro 1,5% ci distacca dal 2,3% della UE e dal 2,7% dell’Ocse. Lo Stato contribuisce alla spesa per la formazione universitaria per il 61% del totale, rispetto al 76% della UE e al 67% dell’Ocse. La quota residua è per lo più sostenuta dalle famiglie: 33% in Italia contro il 14% della UE e il 22% dell’OCSE.

Boom delle telematiche: +411% gli iscritti, +444% le matricole dal 2012

Il sistema universitario italiano si basa sulla presenza di atenei statali (61) e non statali o liberi (31) che a loro volta si suddividono in tradizionali (20) e telematici (11). Tutti gli atenei statali sono tradizionali. Nel 2022, l’82,2% degli iscritti frequenta un’università statale (era il 91,8% dieci anni prima), l’11,5% una telematica (2,5%) e il residuo 6,3% una libera università (5,7%).

Ma nel decennio c’è stata l’esplosione degli atenei telematici i cui iscritti sono cresciuti del +410,9%. Nello stesso periodo gli iscritti delle università tradizionali sono rimasti stabili (+0,1%), mediando la crescita delle non statali (+21,3%).

Le università telematiche sono nate tra il 2003 ed il 2006, dopo che la legge finanziaria per il 2003 ne aveva contemplato l’istituzione e l’abilitazione al rilascio di titoli accademici. Ma a partire dal 2006 il processo di riconoscimento è venuto meno: la legge finanziaria per il 2007 ha fatto espresso divieto all’autorizzazione di nuove università telematiche. Così le 11 oggi operanti in Italia agiscono in un settore chiuso. I numeri della loro crescita dal 2012 sono impressionanti: +112,9% il numero di corsi, +444% gli immatricolati, +410,9% gli iscritti, +102,1% il corpo docente, +131,3% il personale tecnicoamministrativo.

I conti degli atenei: inarrivabili le telematiche

Le tre tipologie di ateneo, statali, non statale e telematico, comportano rette di frequenza assai differenziate: si va dai 1.374 euro in media richiesti dalle università statali, ai 2.147 euro delle telematiche, fino ai 7.447 euro delle non statali tradizionali. Gli atenei statali realizzano performance migliori dei privati (ebit margin 2022: 8,3% vs 2,4%), ma le telematiche sono inarrivabili (ebit margin tra il 30% e il 40%)

Nel dettaglio, le università statali nel 2022 hanno realizzato proventi operativi per 14,3 miliardi: per il 22% da proventi propri (rette di frequenza e ricavi da ricerca), per 73,4% da contributi, la grande maggioranza proveniente dal Ministero dell’Università, e per il residuo 4,6% da ricavi diversi.

Il sistema universitario statale, spesati costi operativi per 13,1 miliardi (8,2mila euro per studente), realizza un ebit margin pari all’8,3% dei proventi operativi e un risultato netto positivo che ne vale il 5,6% (circa 800 milioni di euro).

Gli atenei statali: patrimonio materiale vicino a 10 miliardi, liquidità 11,9 miliardi

Gli atenei statali, che nel 2022 hanno sostenuto investimenti per oltre un miliardo di euro, hanno uno stato patrimoniale pari a 31,2 miliardi. Il patrimonio materiale arriva a sfiorare i 10 miliardi e a toccare il 31,9% del totale attivo. Alcuni istituti sono proprietari di patrimoni librari e artistici importanti, la cui valutazione complessiva è pari 858,2 milioni. Tuttavia, la voce individualmente più rilevante in seno agli atenei statali è costituita dalla liquidità che si attesta a oltre 11,9 miliardi di euro, ovvero il 38,2% del totale attivo. Il patrimonio netto, pari a 13,8 miliardi, rappresenta il 44,1% del totale di bilancio, anche se il 78,7% della sua consistenza ha natura indisponibile in quanto soggetto a specifici vincoli di destinazione. Comunque il patrimonio non vincolato, derivante dai risultati di gestione, ammonta a circa 3 miliardi e supera la massa debitoria che si attesta a 2,6 miliardi.

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Categories: Economia e Imprese