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Unicredit, un piano di lacrime e sangue scommettendo sulla ripresa

Una svalutazione da 9,3 miliardi di euro. Ancora pulizia a Piazza Cordusio, o meglio ormai piazza Gae Aulenti dopo che Unicredit si è trasferita nell’imponente Torre A di Porta Nuova. Nel 2011 il gruppo aveva già messo mano a una maxi svalutazione da 10 miliardi, e ora il valore dell’avviamento a stato patrimoniale è praticamente azzerato, a 3,5 miliardi, ai livelli del 2004. L’intento è quello di preparare il campo per la ripresa che, però, ha ammesso lo stesso Federico Ghizzoni alla presentazione dei conti 2013 e del piano strategico 2013-2018, non “mi illudo che sia facile”. Ghizzoni spera di poter portare a casa nel 2014 un utile di circa 2 miliardi, dopo che il 2013 si è chiuso con una persita netta di 14 miliardi, dovuta oltre alle svalutazioni sugli avviamenti anche agli accantonamenti aggiuntivi sui crediti, che sono saliti del 46,8% a 13,7 miliardi. Previsto comunque il dividendo da 10 centesimi, anche se scrip che, nelle parole di Ghizzoni, “dà una possibilità in più, per alcuni azionisti può essere più conveniente”.

Per Unicredit il beneficio della valutazione della quota in Bankitalia è stato di 1,4 miliardi prima delle imposte, registrato in conto economico alla voce profitti netti da investimenti nel quarto trimestre del 2013. Ma se al termine degli approfondimenti in corso da parte della autorità emergerà che la valutazione andrà fatta a patrimonio netto (e non in conto economico), la perdita netta di gruppo sarà più elevata di 1,2 miliardi nel trimestre e nell’intero anno.

Gli accantonamenti, ha spiegato il gruppo, portano il cash coverage ratio al 52%, ai livelli pre-crisi e sui livelli della media delle banche europee. Con un occhio ai prossimi stress test europei.

Se la ripresa arriverà sarà probabilmente spinta dalla Germania e dal Centro Est Europa perché, ha ricordato Ghizzoni, “non siamo solo italiani”. In Italia la situazione del credito è quella che è e Unicredit nelle sue previsioni si mantiene più conservativo del Fmi stimando una rispersa dle pil dello 0,8%.

In Italia, il piano industriale prevede di continuare con la cessione di crediti in sofferenza a sostegno del de-risking. Inoltre, il gruppo nell’aprile 2013 ha istituito un portafoglio non core per segregare i segmenti di business ritenuti non stregici. Un portafoglio da 87 miliardi (a fine dicembre 2013), che non può essere strettamente chiamato bad bank, perché comprende non solo crediti deteriorati (67%) ma anche crediti in bonis (33%). Un portafoglio segregato che avrà in forza 1.100 persone e che avrà un reporting interno trimestrale che sarà comunicato al mercato. Nel frattempo, Ghizzoni ha precisato che il veicolo per i crediti ristrutturati ”non è tramontato”.

Nell’Europa Centrale e dell’Est Unicredit punta a ”investire nei mercati in crescita e a razionalizzare la presenza geografica”, aumentando l’allocazione di capitale sull’area dal 23 al 30% nell’arco del piano 2013-2018. In vendite la banca in Ucraina, per cui ” sono stati fatti accantonamenti per circa 600 milioni, perchè ci sono negoziazioni in corso ed è in vendita”.

Unicredit si gioca anche il jolly. Confermata la prossima Ipo di Fineco nel 2014. Nell’ambito della getsione del portafoglio anche la potenziale cessione di Unicredit Credit management bank (Uccmb). Nel complesso, da queste e altre iniziative (Ghizzoni non ha voluto rispondere a una possibile Ipo su Pioneer), si punta a un beneficio di circa 30 punti base di capitale. Che però non sono ancora considerati nel Piano strategico.

A livello di obiettivi, infine, la banca punta a realizzare nel 2018 un utile di 6,6 miliardi di euro con un ritorno sul capitale tangibile (rote) pari al 13% e a distribuire un pay-out medio del 40% circa lungo tutto l’arco di piano. Inoltre, i progetti di rivisitazione del modello di business del Commercial Bank in Italia, Germania e Austria di UniCredit prevedono, una riduzione dell’organico di circa 8.500 unità entro il 2018, di cui oltre 5.700 esuberi aggiuntivi in Italia. I risparmi saranno di 0,3 miliardi nel 2016, e di 0,7 miliardi su base ricorrente a partire dal 2018, incluso l’effetto di costi di ristrutturazione aggiuntivi per circa 650 milioni da contabilizzare nel 2016. I tagli riguarderanno anche la Germania, 1.500, quasi il 10% dei dipendenti nel Paese, che sono già stati concordati con i sindacati, e 900 in Austria, quasi il 12% del totale.

Sul fronte dei requisti patrimoniali, il Cet1 si è attestato al 10,4% phased-in (9,4% anticipando pienamente gli effetti di Basile3) e il gruppo ha escluso la possibilità di un aumento di capitale. L’obiettivo al 2018 è del 10% Cet1 anticipando pienamente gli effetti di Basilea3.

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