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Ungheria, sanzioni Ue anti-Orban purtroppo molto improbabili

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Alla fine del lungo percorso previsto dall’art. 7 del Trattato Ue in caso di violazione allo stato di diritto e dei diritti umani, non succederà niente all’Ungheria di Orbàn, anche se più di due terzi del Parlamento europeo l’hanno condannata. Vi è una ragione semplice a impedire che le sanzioni vengano applicate: occorre l’unanimità degli Stati. E siccome lo stesso procedimento è stato avviato anche contro la Polonia, se mai si arrivasse a un voto, i due governi si guarderebbero le spalle a vicenda. 

Non è dunque certo se quanto successo a Strasburgo sia più una vittoria delle democrazie liberali o piuttosto l’ennesima prova dell’impotenza europea a far rispettare le regole che tutti gli Stati membri hanno sottoscritto. Quale dei due fattori prevarrà, lo vedremo alle elezioni europee della primavera prossima sulla base dei risultati dei partiti sovranisti. 

Intanto abbiamo un forte indizio – per non dire una prova – che l’art. 7 contiene sani principi ma anche procedure inefficaci. Eppure ammettere che uno Stato violi il Trattato e allo stesso tempo goda dei benifici dell’Unione – nel caso dell’Ungheria si tratta, tra l’altro, di trasferimenti netti per 3,5 miliardi di euro – è inammissibile secondo logica e giustizia. 

La lezione da apprendere è che non può essere un organismo politico a emettere il giudizio finale: è come se in Italia a giudicare la costituzionalità di una legge non fosse la Consulta ma lo stesso Parlamento. 

A giudicare deve essere un organismo indipendente, attraverso procedure più spedite. L’Editorial board di Bloomberg suggerisce che questo organo sia l’Agenzia per i diritti fondamentali, che ha anche il vantaggio di esistere già. Sembra una buona idea, ma vorranno gli Stati membri fare un passo indietro? 

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Categories: Politica