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Una vita da economista, un libro di Pietro Alessandrini

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Il libro “Una vita da economista”, edito da Affinità elettive di Ancona, si propone di rendere testimonianza della mia vita da economista, come professore universitario, con due motivazioni. La prima è di natura autobiografica legata all’età avanzata che giustifica la comprensibile voglia di redigere bilanci, sapendo che ormai il più è compiuto. La seconda motivazione, alimentata dalla passione per l’insegnamento, è di tipo didattico. Corrisponde all’esigenza di spiegare un mestiere, quello dell’economista, avendo constatato che non è a tutti chiaro in cosa consista. Come non era chiaro a me quando mi sono imbattuto per puro caso in questa disciplina. Del resto, è un problema comune: pochi sanno come funziona l’economia. A maggior ragione l’economia moderna, con la sua rete intricata di operatori, mercati, istituzioni che interagiscono. La frase rituale è “Di economia non ne capisco nulla”. Figuriamoci se di rimbalzo si capisce di cosa si occupa l’economista. Anche Giorgio Fuà, il mio maestro, ammetteva di avere sempre faticato a far capire ai propri figli che mestiere faceva. Le due motivazioni corrispondono alle due parti in cui è suddiviso il libro.

La prima parte è un’autobiografia professionale. Ho la presunzione che possano interessare il lettore le straordinarie vicissitudini che mi hanno portato dalla chimica all’economia, fino alla carriera universitaria. Con il senno di poi mi sorprende con quanta tenacia, assecondata dalla fortuna, ho trovato il coraggio di lasciare per due volte un lavoro stabile. Prima quello di perito chimico, poi quello di economista del Servizio Studi della Banca d’Italia. Scelte compiute per seguire quelle che oggi, a mezzo secolo di distanza, appaiono come due grandi vocazioni: quella di economista e quella di docente universitario. Due scommesse su carriere in partenza tutte da costruire, che poi si sono rivelate vincenti. Il coraggio di cambiare scommettendo sulle proprie potenzialità credo, spero, possa essere di esempio e incoraggiamento per i giovani che sono chiamati a gestire il proprio futuro. Per questo ho ritenuto opportuno proporre questa parte iniziale della mia vita attiva nei primi due capitoli.

Bisogna ammettere che ho avuto anche tanta fortuna. La fortuna di avere avuto una famiglia d’origine che, pur senza una cultura a livello universitario, mi ha assecondato nella scelta del proseguimento degli studi. La fortuna di avere avuto il sostegno della mia nuova famiglia, una moglie e due figli, per la decisione di lasciare il posto sicuro e molto ben remunerato della Banca d’Italia per giocare la scommessa della carriera universitaria, tutta da costruire. La grande fortuna di avere incontrato Giorgio Fuà. Un grande maestro che ha inciso sulle mie scelte sin dal primo casuale incontro da studentello all’esame di Economia politica, come racconto nel primo capitolo. A tutto ciò, si somma la fortuna di avere potuto avere esperienze e incontri ad alto livello all’università di Oxford, in Banca d’Italia, nella Società Italiana degli Economisti, come racconto nel terzo capitolo. Non meno importante la fortuna di avere fatto parte del gruppo degli allievi di Fuà, dando vita a quello che divenne noto come il Gruppo di Ancona, che insieme ai colleghi di altre discipline della Facoltà di Economia, ha costituito una comunità scientifica con interessi diversi ma convergenti, sorretta da stima, correttezza e amicizia.

Il professore universitario vive in stretta interazione con i colleghi, nell’ambito della ricerca, con gli studenti, sul versante della didattica, e con la società esterna all’università, nella cosiddetta terza missione. Nella ricerca ho avuto la fortuna di operare in un gruppo di lavoro di colleghi, con i quali ho condiviso gli stessi interessi scientifici. Insieme abbiamo ottenuto risultati significativi pubblicati su primarie riviste nazionali e internazionali, soprattutto in campo bancario e monetario, che è stata la mia maggiore specializzazione. Per dare al gruppo un punto di riferimento riconoscibile e aperto ad altre collaborazioni, nel 2007 con Michele Fratianni e Alberto Zazzaro abbiamo fondato il Money and Finance Research Group (MoFiR), che pubblica online una collana di working papers e organizza da 11 anni workshop on banking, ai quali partecipano studiosi dell’evoluzione del sistema bancario e finanziario appartenenti ai principali centri di ricerca internazionali.

Dagli studenti, ai quali ho “inflitto” migliaia di ore di lezione, ho ricevuto le maggiori soddisfazioni nel vederli crescere e nel sentirli riconoscenti e affermati quando li ho incontrati a distanza di anni. Ho sempre ritenuto importante il circolo virtuoso docente-studenti secondo il quale: “si insegna ciò che si sa, si sa ciò che si studia e si ricerca, lo si trasmette agli studenti e nello stesso tempo si impara insegnando”, come ho scritto nella introduzione al testo “Economia e politica monetaria. Nel labirinto della finanza”, che raccoglie le mie lezioni.

La seconda parte del libro è un’autobiografia delle idee che aiutano a chiarire di cosa mi sono occupato nella mia vita da economista. Idee che ho maturato nelle ricerche, nei numerosi convegni e soprattutto nel confronto con imprenditori, banchieri e professionisti che l’economia la vivono concretamente. Non a caso la disciplina è denominata Economia politica, con l’aggettivo che ne sottolinea la valenza politico-sociale. A maggior ragione se si parla di macroeconomia, che studia il funzionamento dei grandi aggregati (produzione, reddito, risparmio, investimenti, esportazioni, importazioni, inflazione, occupazione, ecc..), frutto delle scelte dell’insieme di operatori (famiglie, imprese, settore pubblico, ecc..). Sono le grandezze di riferimento per gli interventi di politica economica (spesa pubblica, tassazione, moneta in circolazione, ecc..) che le autorità di governo attuano per il raggiungimento del benessere collettivo.

Proprio in questo ambito dell’economia ho concentrato i miei studi, con le specializzazioni di cui parlerò più avanti e soprattutto nella seconda parte del libro. Per quanto appena detto, non penso sia giusto considerare l’economista un tecnico, a meno che non limiti i suoi interessi all’uso di strumenti matematico-statistici più sofisticati. L’economista politico deve essere consapevole del suo ruolo di scienziato sociale e deve prendere atto che le valutazioni ottenute dalle sue ricerche hanno comunque un’implicazione politica e come tali sono soggette a vaglio critico. Proprio per non essere etichettato a priori come economista di parte, non mi sono mai iscritto a un partito politico. L’essenziale è farsi capire, anche se non sempre ci si riesce soprattutto da parte dei politici in carica. I quali chiedono il sostegno “tecnico” dell’economista, per poi ignorarne i suggerimenti, soprattutto se non coincidono con i loro obiettivi di breve respiro, legati alle elezioni ricorrenti. Più avanti racconto due episodi emblematici della difficile comunicazione che ho avuto con il mondo della politica attiva, per quanto riguarda le banche (inizio capitolo ottavo) e la programmazione regionale (inizio capitolo nono).

La colpa è spesso anche degli economisti che usano modelli astratti, basati su ipotesi di comodo e difficili da comprendere ai non addetti ai lavori (vedi capitolo sesto). Fuà ha sempre raccomandato a noi allievi, e lo ha dimostrato nella sua vita, di mantenere sempre un contatto con la realtà, cercando di farsi capire con scritti brevi e di esporre le proprie idee in modo chiaro e semplice (vedi capitolo quarto). Per raggiungere questo risultato occorre in primo luogo avere studiato e capito ciò che si vuole spiegare. Non si può fare una buona attività divulgativa senza una solida preparazione.

Ho chiuso la carriera con centoventi saggi, pubblicati in riviste scientifiche nazionali e internazionali, diversi in lingua inglese, e quattordici libri, nei ruoli di curatore, co-autore e autore singolo. Questo fa parte del bagaglio che ho accumulato nella mia attività di ricerca e tramite il quale ho dialogato con la comunità scientifica di riferimento. Per farmi capire dai non accademici, il largo pubblico, mi sono spesso impegnato in conferenze e nella pubblicazione di articoli sui giornali. Per tutti questi motivi, nella seconda parte del libro ho raccolto una selezione di questi miei interventi pubblici che ritengo rappresentativi delle idee maturate nella mia vita da economista. Li ho chiamati biglietti da visita, perché sono una presentazione sintetica di ricordi, riflessioni e punti di vista, che ritengo possano avere una validità ancora attuale. Sono divisi in capitoli che al loro interno non seguono un ordine cronologico, ma un filo conduttore che cerca di essere chiaro e coerente.

Infine, a dimostrazione che non ho limitato la sfera dei miei interessi solo all’economia, ho voluto inserire una divagazione con tre articoli sul ciclismo, che sin da ragazzo ha alimentato la mia passione di sportivo. Ho sempre pensato che il modo di condurre una gara ciclistica non sia poi così lontano dall’economia. Ciclisti di squadre diverse portano a termine una fuga con speranza di vittoria solo se collaborano per non farsi raggiungere. Inoltre, un ciclista da solo difficilmente ci riesce. Solo sul finale della corsa i corridori da collaboratori si trasformano in concorrenti, che competono per la vittoria. Uno solo vince: non sempre il migliore in partenza, ma chi nel corso della gara ha saputo investire meglio nella distribuzione delle proprie energie. Allo stesso modo, il rapporto collaborazione-concorrenza fa parte della strategia economica delle imprese. Soprattutto delle piccole imprese, che da sole difficilmente riescono a reggere la competizione.

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Categories: Finanza e Mercati