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Una politica economica europea per la crescita val bene la rinuncia alla nostra sovranità nazionale

L’Italia ha perso sovranità di politica bilancio. Non l’ha persa perché ha fatto una manovra di riduzione del disavanzo pubblico seguendo le indicazione che la BCE aveva posto con una lettera inviata al nostro Governo. L’ha persa perché avrebbe dovuto fare autonomamente e meglio quello che comunque era obbligata a fare essendo parte dell’euro. Invece, il Governo italiano ha tardato nel prendere le dovute misure ed ha costretto la BCE a “ricordarci” formalmente quello che dovevamo fare.

 

All’atto dell’adesione all’euro era chiaro che, senza una politica comune europea, i paesi aderenti avrebbero dovuto avere almeno una politica di bilancio coordinata. E tale politica consisteva nell’avere simultaneamente un pareggio di bilancio in tutti i paesi (a meno di eventi eccezionali). Tanto che oggi la maggior parte dei paesi, Italia inclusa, ha dovuto mettere nella propria Costituzione un comma relativo all’obbligo del pareggio tendenziale di bilancio.

 

Ma il pareggio di bilancio simultaneo per tutti i paesi dell’euro non è una politica economica. È la negazione della politica economica. Infatti, se tutti i paesi dell’euro, piccoli e grandi, devono avere sempre i conti in pareggio, la crescita economica dell’Europa si riduce. È come se, in un paese chiuso, tutti i soggetti, famiglie e imprese presi singolarmente, non potessero più fare debiti e, quindi, non ci fosse neppure la possibilità di risparmiare, posto che non ci sarebbe più a chi prestare i propri risparmi. L’economia ristagnerebbe e decadrebbe progressivamente.

 

Ovviamente non così per i paesi dell’euro, che hanno dei disavanzi e dei debiti pregressi. Ma se si persegue l’equilibrio a livelli più bassi di quello generale, si perde una capacità di crescita. Se l’Europa avesse un vero Governo e, quindi, una sua politica economica autonoma, punterebbe a un equilibrio complessivo del suo bilancio, ma potrebbe lasciare degli squilibri locali per favorire processi di crescita e di specializzazione. Alcune aree dell’Europa potrebbero avere una maggiore vocazione alla produzione e all’esportazione, mentre altre potrebbero esser aree di crescita dei consumi e di sviluppo dei servizi. Se ogni singola area, per piccola che sia, dovesse vivere in un perenne equilibrio, lo sviluppo sarebbe compresso.

 

Queste affermazioni non giustificano politiche di bilancio avventurose nei singoli paesi. Esse dicono però che, in presenza di crisi forti come questa, dovremmo tutti puntare a una maggiore integrazione europea, che significa una rinuncia della propria sovranità in campo di politica economica, in favore di una politica di più ampio respiro. Questo chiede, in definitiva, anche la Germania, che appare così refrattaria a sostenere i paesi in debito perché non si fida delle loro politiche.

 

Il nostro paese, che è oggi nell’occhio del ciclone della crisi, dovrebbe essere in prima fila nel sostenere una cessione di sovranità in materia di politica economica a favore dell’EU. Invece si assiste a forme di orgoglio nazionale e a stupide tentazioni secessioniste di un Nord Italia che, senza il Centro e il Sud del paese, sarebbe privo del suo principale mercato di sbocco. E si assiste a episodi di corruzione, a scandali sessuali, all’uso del potere politico per propri fini personali da parte di membri del Governo, ciò che rappresenta oggi il principale fattore di deprezzamento del nostro paese.

 

Una perdita di sovranità nazionale in politica economica oggi sarebbe per il nostro paese un fattore di miglioramento. È triste doverlo ammettere, ma è proprio così.

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