Un incendio ha costretto la Bp a bloccare ogni attività nel sito offshore di Valhall, 180 miglia al largo della Norvegia meridionale. Con Deepwater Horizon, la piattaforma incendiata più di un anno fa nel Golfo del Messico, in un giacimento chiamato Macondo, non ha nulla a che fare: allora ci furono undici morti e una perdita di greggio che pareva inarrestabile e che provocò gravi danni alle attività costiere e all’ambiente.
L’incendio di ieri, avvenuto in una zona dove il mare è profondo circa 70 metri, non ha i medesimi contorni. Nessuna vittima e nessuna emissione di idrocarburi nel mare. Però di fronte a situazioni del genere Bp non può che andare con i piedi di piombo. Il pozzo estrae circa 31mila barili al giorno di greggio, che poi viene diretto verso il nodo di Ekofisk e da lì verso gli impianti inglesi di Teeside. La proprietà è al 64% dell’americana Hess, mentre la major inglese è l’operatore e detiene il restante 36%. Il pozzo è in attività dagli anni ottanta e con gli ammodernamenti già previsti dovrebbe rimanere in produzione ancora una quarantina di anni.
Però ancora non si capisce cosa sia successo: le autorità norvegesi per la sicurezza delle piattaforme offshore sono sul posto per chiarire gli eventi, perché “non ci sono rischi di un aggravamento della situazione, ma un incendio è sempre un incendio, ed è quindi una cosa seria”. Bp ha già provveduto a evacuare tutti i 638 addetti che erano presenti nella struttura e non è ancora in grado di prevedere quando sarà possibile riattivare l’impianto.