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Una finanza per lo sviluppo, ecco come

Una finanza per lo sviluppo: così si intitolano le pagine che concludono le “Considerazioni Finali” del governatore Draghi lette il 31 maggio 2006. Come ovvio, Draghi parla delle grandi potenzialità che, soprattutto in Italia, hanno gli investitori istituzionali e in particolare i fondi pensione. E sottolinea che “l’espansione dei fondi pensione è cruciale anche per lo sviluppo degli intermediari specializzati nel favorire la crescita delle imprese piccole e innovative”.

Sette anni sembrano passati invano: la situazione è oggi molto più grave di allora. Che fare? Nel dibattito degli ultimi giorni, sembra prevalere la linea più seria e meditata: studiamo la realizzazione di nuovi intermediari che provvedano a tutto ciò, facendo incontrare imprese, banche, fondi, intermediari pubblici e privati, magari con qualche incentivo pubblico, sempre che Bruxelles consenta. Parliamo di drammatica emergenza e poi ci dimentichiamo che forse qualcosa potrebbe essere fatto domani? Non solo per futura memoria, ma anche per provare a sbloccare l’ennesima paralisi, merita ricordare tre cose:

1) Tutta la materia è stata studiata in modo approfondito negli ultimi due anni. E si è già accumulato un ampio elenco di studi, discussi in sedi internazionali: dal G20 al G30, da Davos a Mosca, dall’OCSE e da ultimo anche dalla UE, nel Libro verde con il quale ha lanciato una consultazione pubblica sul tema del finanziamento a lungo termine dell’economia europea.

2) La gravità della nostra recessione è chiaramente da attribuire al “razionamento del credito” almeno quanto all’austerità fiscale. E’ perciò sempre più difficile incolparne il rigore che ci viene imposto da Berlino, complice Bruxelles! Si sta creando un ampio consenso sul fatto che il credit crunch non può essere risolto da una ripresa del credito bancario tradizionale, per diverse ragioni: difficoltà di raccolta sui mercati internazionali, scarsità e costo del capitale, necessità di procedere verso il deleveraging dopo una fase, quella pre-crisi, in cui la leva bancaria era progressivamente aumentata. Si rende quindi necessario creare canali attraverso i quali fare affluire il risparmio raccolto dagli investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni, fondi comuni) alle imprese. Da più parti si invoca lo sviluppo di una cartolarizzazione “virtuosa”, come l’ha chiamata Marco Onado sul Sole 24 Ore del 21 aprile (si vedano anche Guiso e Tabellini, Sole 24 Ore del 16 aprile). Lo stesso Libro verde della Commissione vi fa esplicito riferimento, riconoscendo la necessità di trovare canali di finanziamento alternativi a quello bancario. Anche la BCE, per bocca del consigliere Mersch (intervistatodal Sole 24 Ore il 19 aprile), sta aprendo la porta a questa evoluzione. Una riflessione in questa direzione è senz’altro opportuna, anche se è ancora fresca la memoria dei disastri prodotti da un utilizzo distorto della securitization: attenzione a non commettere gli errori del recente passato.

3) Oltre a progettare il nuovo, è bene utilizzare subito gli strumenti già esistenti. Qualcosa di utile per finanziare a medio termine il credito all’esportazione – e molto presto anche gli investimenti nel settore dei Servizi pubblici locali – è stato menzionato nel recente intervento di Vaciago-Zoncada (Passare dalle parole ai fatti, “Il Sole 24ore”, 17 aprile 2013). Si tratta degli Specialized Investment Funds (SIV): fondi di investimento, destinati a investitori istituzionali, che investono in crediti all’esportazione; essi in pratica consentono alle aziende esportatrici di cedere (attraverso lo sconto pro-soluto) i loro crediti verso importatori esteri. L’attività di esportazione viene così agevolata, garantendo la liquidità alle aziende italiane che, a loro volta, concedono dilazioni di pagamento anche pluriennali agli importatori esteri. E’ evidente a tutti che è nel campo delle esportazioni e degli investimenti pubblici locali che si concentrano opportunità e necessità di crescita e dove più rapida potrebbe essere l’attivazione di un nuovo collegamento con le disponibilità di investimento dei fondi pensione e delle assicurazioni. Oltre a questa iniziativa – adeguatamente istruita nei tre anni scorsi, e meglio illustrata nell’esempio di CO.MO.I SIF – altre sono pronte a partire: la Banca d’Italia ha recentemente autorizzato un fondo chiuso finalizzato a investire in crediti alle PMI.

Per concludere, sarebbe molto importante, essendo ormai ampio il consenso scientifico e politico, se si potesse disporre di un inventario di ciò che può iniziare ad operare subito. Non sappiamo se ciò spetti al Governo (Palazzo Chigi, via XX Settembre); alle Autorita’ direttamente coinvolte (che sono tante, a cominciare da Banca d’Italia, Consob, e Covip); alle “parti sociali”(Confindustria, Sindacati); o a tutti questi soggetti assieme. Ma sappiamo che una ricognizione delle nuove iniziative pronte a partire subito sarebbe comunque indispensabile e forse servono solo pochi giorni per farlo. Da questo punto di vista il documento dei dieci saggi nominati dal Presidente della Repubblica, che potrebbe diventare una bozza di programma di governo in seguito al rinnovo del mandato a Napolitano, è un po’ deludente. Esso si limita a invocare il rafforzamento di due strumenti già esistenti: il Fondo centrale di garanzia per il credito bancario alle PMI e i fondi di private equity istituiti presso la Cassa Depositi e Prestiti. Senza nulla togliere a queste iniziative, forse si poteva fare uno sforzo di maggiore fantasia.

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