Inutile attendersi miracoli. L’ Italia cresce poco, anche se ha cambiato verso rispetto al passato, ma non esiste una bacchetta magica che può accelerare il ritmo di sviluppo: l’ unica strada è quella di perseverare nella politica di riforme e puntare sugli indispensabili cambiamenti culturali e delle aspettative che possono anticiparne gli effetti. Il dibattito organizzato da Il Foglio ed al quale hanno partecipato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, il sottosegretario Nannicini, l’ AD della Cassa Depositi e Prestiti, Gallia, ed il prof. Giavazzi, al di là di qualche differenza di accenti, ha visto una sostanziale convergenza sulla necessità di proseguire nella direzione finora perseguita dal governo Renzi, vincendo le resistenze corporative che ritardano l’innovazione, ostacolano l’apertura del mercato alla concorrenza, frenano la produttività delle imprese.
La spesa pubblica non può fare miracoli. Solo il prof Giavazzi ha suggerito al Governo di spingere il deficit fino al 2,9% per poter ridurre i carichi fiscali in maniera consistente, ma in genere allo Stato non si chiedono nuove risorse o sussidi, ma un quadro chiaro di norme capaci di stimolare l’ iniziativa privata. Dopo il Jobs Act, occorre completare la politica del lavoro sia con la messa in funzione delle nuove agenzie del lavoro, sia con la modifica delle norme sulla rappresentanza e sulla contrattazione aziendale. Finora il Jobs Act ha consentito la creazione di oltre 450 mila nuovi posti di lavoro.
Ma per consolidare questo trend positivo ci vogliono nuove regole che – come ha sottolineato Boccia – consentano tramite la contrattazione in azienda di introdurre modifiche organizzative atte a stimolare la produttività e nello stesso tempo dare maggiori retribuzioni ai lavoratori. Sugli investimenti, dopo che Giavazzi aveva accusato la Confindustria di essere tiepida sulle politiche atte ad incrementare la concorrenza, alla fine si è convenuto che occorrono politiche industriali capaci di rendere l’ ambiente esterno più favorevole alle imprese, agendo sui fattori di competitività che vanno dalla formazione alla innovazione tecnologica, passando per l’energia, i trasporti, la finanza e l’eccesso di burocrazia oltre ovviamente alla inaffidabilità della Giustizia, che, come ha detto Gallia, è il primo fattore di rischio del paese che tiene lontani gli investimenti dall’estero.
Purtroppo la congiuntura internazionale non sembra destinata ad aiutare la nostra economia. Dall’Europa non ci si può aspettare grandi iniziative a breve, anche se diversi oratori hanno sottolineato che forse qualche decisione per una maggiore spesa comunitaria potrà riguardare le politiche della sicurezza e la creazione di un nucleo di forze militari congiunto. Questo comporterebbe spese più elevate magari in deficit, contribuendo cosi’ al miglioramento della domanda interna europea.
Nel complesso sotto il profilo macroeconomico non sembrano possibili politiche keynesiane classiche, basate cioè su un forte intervento della spesa pubblica, ma si devono proseguire le politiche di cambiamento finora intraprese. E qui non poteva non esserci il passaggio sul referendum per la riforma della Costituzione, quello che nel mondo stanno guardando con apprensione e speranza. Boccia ha riassunto egregiamente i motivi che hanno portato Confindustria a schierarsi per il Sì. Ne bastano due: il superamento del bicameralismo paritario, e la modifica del Titolo V sui rapporti tra Stato e Regioni la cui confusione attuale crea tanti problemi agli imprenditori. Votare NO vuol dire non cambiare nulla. “Non so se sarebbe proprio così perché magari si rischia il peggio – ha detto Boccia- ma già questa osservazione è sufficiente per capire che bisogna votare SI per rinnovare le nostre prospettive”.
Le scarse risorse che saranno disponibili con la nuova finanziaria, dovranno essere allocate soprattutto per sostenere la competitività delle imprese. Boccia ha sostenuto che accanto alle riforme a costo zero, come la concorrenza e le semplificazioni, occorrono risorse sia per ridurre le tasse, sia per finanziare l’ innovazione tecnologica ed organizzativa. Questo non vuol dire che non si devono fare degli interventi assistenziali per venire incontro alle categorie più disagiate, ma è importante che non si stravolga la legge Fornero che è uno dei pilastri su cui si regge la credibilità dell’ Italia sui mercati finanziari.
Ma quello che conta saranno soprattutto delle norme capaci di aiutare una crescita dimensionale delle imprese il cui nanismo non permette di fare quell’innovazione tecnologica che sarebbe necessaria. Diventa fondamentale il progetto dell’industria 4.0 che dovrebbe sostituire gli incentivi dati a pioggia e che non servono a nulla. Giavazzi ha citato una indagine della Banca d’ Italia da cui risulta che nella stragrande maggioranza dei casi le aziende avrebbero fatto ugualmente l’investimento anche se non ci fossero stati gli incentivi. E chi si era opposto alla proposta di abolirli? Non la Confindustria ma i funzionari del ministero che senza l’attività di erogazione degli incentivi avrebbero visto sfumare il loro potere.
Dopo tanti anni di governi deboli che hanno fatto politiche sbagliate o solamente clientelari (ed il debito pubblico sta lì a testimoniare gli errori fatti), occorre proseguire nell’opera di cambiamento intrapresa. Ma questo passa attraverso l’approvazione della riforma costituzionale. Altrimenti per l’Italia si aprirà un nuovo periodo di incertezza con conseguente aggravamento della crisi economica.