Qualche giorno fa un banchiere svizzero mi proponeva questa metafora: “E’ come se qualcuno scommettesse sulla caduta di un aeroplano lucrando ingenti somme se il disastro avviene”. Fuor di metafora, un gruppo di “operatori finanziari” ha fatto una scommessa sul crollo dell’euro ovviamente indifferente sulle possibili conseguenze.
Il problema è che tale scommessa si fonda su fatti oggettivi. “E’ una deriva tra continenti, come la faglia di sant’Andrea, che può scatenare terremoti, frutto del modificarsi delle relazioni economiche e dei relativi termini di scambio”. Insomma, la crescita tumultuosa del Sud America e di buona parte dell’Asia sta provocando una serie di scossoni di cui finora si è visto solo l’inizio. Là vanno le risorse, gli investimenti, le tecnologie.
In questo quadro l’Europa è disunita; l’Inghilterra si è chiamata fuori, la leadership tedesca è incerta e, per ora, non desiderosa di esporsi, e ciò per motivi reali (perché darsi carico dei deficit dei paesi inefficienti?) e politici (elezioni vicine). E non è chiaro dove andremo veramente a parare. In ogni caso, mi sembra illusorio che la Bce potrà disporre delle risorse necessarie per garantire illimitatamente i debiti dei paesi europei in crisi. Draghi l’ha detto più volte: la Bce non ha risorse infinite e, a un certo punto, deve bloccare gli acquisiti.
In questo quadro l’Italia è di fronte a un quesito drammatico: può essere sicura di trovare nell’Europa quel sostegno che necessita? Oggi la risposta è negativa: in una situazione di incertezza un buon padre di famiglia deve pensare di andare con le proprie gambe, se ce le ha ancora. E noi ce le abbiamo, nella forma di una ricchezza patrimoniale di varie volte superiore al debito pubblico anche se concentrata in una quota non alta della popolazione.
E qui si arriva al cuore del problema: l’Italia è sottoposta al “ricatto” che il mercato potrebbe non rifinanziare il debito, o rifinanziarlo a tassi crescenti e non sostenibili (l’espressione ricatto è impropria – ancorché non del tutto infondata – poiché i mercati non ricattano ma scelgono dove è meglio investire). In più, nei prossimi mesi abbiamo da fronteggiare scadenze per 350 miliardi di euro e la crescita dei tassi potrebbe appesantire i conti pubblici di una ventina di miliardi di euro annui, o più. Si vanificherebbe la già onerosa manovra di Natale. Ed è ovvio che ciò potrebbe portare ad un avvitamento irreversibile.
Questo scenario è totalmente deprecabile ma non del tutto impossibile; è diffusa opinione che (Vox populi, Vox Dei):
1) Aumentare la tassazione diretta o indiretta copre solo i buchi della gestione corrente dello stato;
2) Il sistema politico-amministrativo approfitterà dei maggiori gettiti per continuare a coprire sperperi e inefficienze. Non dimentichiamo che è, nei fatti, potentissimo;
3) La manovra favorisce un forte flusso di esportazione dei capitali soprattutto per la scarsa fiducia che possa andare veramente in porto;
4) L’auspicato rilancio del Paese, per quanto corretti possano essere gli interventi governativi, è tutt’altro che certo e, comunque, dispiega gli effetti in tempi non brevi (2/3 anni);
5) In più, il 2012 sarà un anno di recessione, accompagnata da inflazione.
Per superare il “ricatto” dobbiamo dunque agire oggi sul debito pubblico. Molti hanno sostenuto la necessità di una patrimoniale straordinaria di 300/400 miliardi per abbattere l’indebitamento ma vi è un veto di Berlusconi (in verità aggirato da Monti con una patrimoniale light, sostanzialmente inutile a breve se non per introdurre il meccanismo, e con l’Imu, la nuova Ici, molto più estesa e assai più pesante). Io credo che chi ha di più debba contribuire maggiormente al superamento della crisi, ma non credo che la patrimoniale sia la risposta più efficace.
Penso, invece, che si debba realizzare un “prestito patrimoniale”, sempre della dimensione di 300/400 miliardi, che preveda che chi dispone di patrimoni superiori, ad esempio, a 1 milione di euro, sia tenuto a sottoscrivere titoli di stato del tutto analoghi a quelli esistenti. La base di calcolo è il patrimonio immobiliare e finanziario detenuto in Italia e all’estero; il prestito dovrebbe essere non meno del 5% del valore del patrimonio. I titoli dovrebbero avere una scadenza di 10/15 anni e potrebbero prevedere una remunerazione significativa, del 2 o 3%. Così, invece di pagare una patrimoniale, cittadini e imprese “comprano” titoli di stato con le caratteristiche dette.
La pur onerosa manovra ha una serie di consistenti vantaggi:
1) L’intera azione agisce sul nodo fondamentale del debito;
2) Si allunga la scadenza media del debito pubblico e si stabilizza/contiene il costo;
3) Si riduce la dipendenza dai mercati finanziari internazionali, potenzialmente letale e ingovernabile;
4) Si dà tempo per attuare le manovre di rilancio dell’economia e di riduzione della spesa pubblica;
5) In ipotesi di risanamento del quadro complessivo la remunerazione del 2 o 3% diventa attraente;
6) Aumentano gli “alleati” interni per una politica efficace di risanamento;
7) Si limita la percezione diffusa di buttare risorse in un pozzo senza fondo; si contiene la percezione di impoverimento;
8) I flussi di interessi del debito restano in Italia, con impatti positivi sull’economia;
9) I titoli sono negoziabili poco dopo l’emissione; chi necessita di liquidità può cederli sul mercato conseguendo ovviamente a breve una probabile perdita in conto capitale;
10) Le banche potrebbero agevolmente gestire l’operazione per conto di cittadini e imprese;
11) Anche per chi dispone di patrimoni è preferibile una operazione che incide sul 5% del valore ma aumenta di molto le probabilità di mantenimento del valore del patrimonio rispetto ad azioni più contenute che hanno un impatto inesistente.
Ovviamente, la soluzione del Prestito Patrimoniale dovrebbe essere valutata attentamente in tutte le sue implicazioni, ad esempio rimodulando alcune delle scelte già fatte in particolare sull’Imu e sull’imposta patrimoniale. Analogamente, esso non sostituirebbe azioni sullo sviluppo e sulla razionalizzazione della spesa rimanendo queste ultime assolutamente necessarie; analogamente, rimarrebbe del tutto auspicabile un intervento a livello europeo nei termini oggi oggetto di discussione. Ma sarebbe quella azione che “taglia la testa al toro” della speculazione e dà fiato per realizzare il processo di risanamento e rilancio che costituisce comunque la strada maestra.