X

Un portafoglio per un mondo in grande confusione

ImagoEconomica

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Mao amava le frasi a effetto (leggere troppi libri è dannoso, la bomba atomica è una tigre di carta, la rivoluzione non è un pranzo di gala, è sempre scuro prima che diventi buio, la storia è il sintomo della nostra malattia) e per una volta attingiamo al suo vasto repertorio per descrivere la situazione attuale.

Che ci sia grande confusione nel mondo, nell’opinione pubblica, tra gli economisti e nei mercati è piuttosto evidente. C’è anche confusione nei portafogli, che sono spesso stratificazioni geologiche di scelte fatte in momenti diversi e in stati d’animo a volte di paura e a volte di speranza. È interessante che l’area che appare più tranquilla sia la Cina, che un anno fa a quest’epoca era sulla bocca di tutti e sembrava sul punto di farci precipitare in chissà quale crisi globale.

Tanto rumore per nulla, tante notti a seguire trepidanti i mercati asiatici, tante posizioni liquidate affannosamente in perdita e per cosa? Per un renminbi che il 3 febbraio 2016 stava a 6.61 e che oggi sta a 6.81? Per una svalutazione del 2.94 per cento in un anno? Curarsi i nervi, si sarebbe detto una volta. La Cina resterà stabile almeno fino all’autunno, ci possiamo scommettere. Il XIX Congresso del partito sarà chiamato a scegliere la leadership per gli anni Venti e con Xi Jinping che punta a farsi nominare Paramount Leader (come Mao e come Deng) possiamo stare tranquilli che ogni tipo di polvere verrà accuratamente nascosta sotto il tappeto e che gli obiettivi di crescita saranno perfettamente centrati o battuti. Tutto il resto è per aria. A partire dall’Europa. In Olanda c’è grande eccitazione intorno al nuovo partito lanciato da Thierry Baudet, un giovane e sofisticato intellettuale che si rivolge all’elettorato di centro su una piattaforma libertaria e di democrazia diretta, in aperto contrasto con l’eurocrazia di Bruxelles. Baudet non prenderà molti voti, ma sdoganerà Geerd Wilders e renderà l’ipotesi Nexit un argomento ancora meno tabù.

In Francia il gollista Fillon, che un mese fa era grande favorito, è sul punto di ritirarsi, lasciando un grande vuoto al centro che potrebbe finire con l’astenersi o votare Le Pen. Il primo turno vedrà quindi in gara Marine Le Pen (sciogliere ordinatamente l’unione monetaria), il socialista centrista Macron (l’euro così com’è non dura altri dieci anni) e il socialista utopista Hamon (più immigrati, salario di cittadinanza per tutti, settimana lavorativa a 32 ore che tanto i robot faranno tutto loro). E che cosa farà l’Italia, politica a parte, quando la Bce annuncerà, alla fine di quest’anno, la fine del Quantitative easing? Per non parlare di Trump. È accusato contemporaneamente di tenere un dito nervoso sul pulsante nucleare e di volersi ritirare dentro confini murati e lasciare il mondo a sé stesso.

Di stuzzicare il gigante ipernazionalista cinese e corteggiare l’ipernazionalista Russia. Di liberare nel mondo decine di migliaia di guerriglieri dell’Isis una volta che questi avranno perso la loro base territoriale in Siria e Iraq. Di lasciare la Libia e il Mediterraneo ai russi. Di volere fare esplodere l’euro e fare rivalutare il futuro marco fino ad azzerare la competitività tedesca. Accusato anche di volere stimolare con accanimento terapeutico un ciclo economico anziano e malmesso che rischia così l’infarto. Di prepararsi a fare esplodere l’inflazione e il disavanzo pubblico, con conseguente bear market globale dei bond di ogni ordine e grado. Di cancellare lo 0.8 per cento di crescita del Pil americano che deriva dall’immigrazione.

Di togliere a Silicon Valley gli ingegneri yemeniti e sudanesi di cui ha tanto bisogno per andare avanti. Di manipolare il dollaro al ribasso accusando tutti gli altri di manipolarlo al rialzo. Vogliamo altri segni di disordine? Non c’è accordo sui dati macro. Il Cpi americano sarà fra due mesi del 2.5 per cento. Ecco, decolla l’inflazione, diranno alcuni. Calmi, diranno altri, è solo petrolio, Obamacare e prezzi delle case, che in America entrano indirettamente nel Cpi. Tutto il resto è tranquillo, a partire dall’inflazione salariale. Ne siamo sicuri? L’indice delle retribuzioni della Fed di Atlanta, nuovo e meglio costruito degli indici che è abituato a guardare il mercato, segna una crescita del 4 per cento (con produttività a zero). Nei sondaggi tra gli imprenditori la lamentela maggiore non è sulle tasse o sulla regolamentazione ma sulla difficoltà di trovare personale generico e sull’impossibilità di trovare personale qualificato.

E tuttavia, considerato tutto quanto detto sopra, la situazione potrebbe anche rivelarsi eccellente. Cina e Germania, i grandi esportatori del mondo che Trump vuole attaccare, potrebbero anche decidere una buona volta di rilanciare il loro mercato interno (il Giappone è al riparo dagli attacchi perché è politicamente amico di Trump, sia per affinità ideologica, sia per il comune interesse a contenere la Cina). L’America potrebbe davvero tornare a crescere del 3 per cento (magari più nel 2018 che quest’anno).

Il Congresso potrebbe davvero varare una riforma fiscale razionale senza fare esplodere il disavanzo (nessuno, assolutamente nessuno, lo vuole davvero fare esplodere, a partire da Trump). L’aumento dell’inflazione potrebbe stare nei limiti che tutti ci auguravamo di raggiungere un anno fa, quando parlavamo solo di deflazione. Il bear market dei bond potrebbe rivelarsi dolce e sopportabile. Il dollaro potrebbe alla fine non muoversi troppo, con grande beneficio per tutti. Le sparate di Trump sui dazi ai cinesi del 45 per cento (fotocopia di quelli di Reagan ai giapponesi, all’epoca accolti bene dai mercati) potrebbero essere solo l’inizio di una trattativa complessiva con i cinesi, che sul piano commerciale si comportano malissimo.

Insomma, la dispersione delle ipotesi sul 2017 è enorme e quello che è partito come un anno all’insegna della forza potrebbe chiudersi male, ma anche molto bene. In queste condizioni, con un ciclo anziano e valutazioni azionarie e obbligazionarie elevate, i portafogli non vanno costruiti solo in vista della performance ma anche della loro solidità strutturale. Gli anni per guadagnare e puntare grosso sono alle spalle.

La prima cosa da fare è fortificare al massimo la parte difensiva monetaria-obbligazionaria, privilegiando debitori forti, scadenze brevi e valute diversificate (a partire dal dollaro sopra 1.10). Le valute fluttuano? Pazienza. Nel fortino si può creare una piccola scorta di oro (solo su debolezza) e di materie prime.

La seconda cosa è delimitare la parte destinata ad attaccare e fare soldi. Era del 50 gli anni scorsi? Facciamola scendere al 30. Era del 30? Portiamola al 15-20. A ciclo maturo è meglio guadagnare poco che perdere tanto. Se poi c’è davvero il gran finale euforico (che nel 2007-08 ci fu per le case, ma non per le azioni) si faranno dei bei soldi anche con il 30 o il 15. L’azionario ha da essere mirato e, dove si guadagna, chiuso in tempo. In linea di massima vanno bene i titoli che hanno valore, i ciclici e le banche. Bene anche qualche borsa emergente.

Related Post
Categories: Commenti