Il governo italiano dovrebbe dotarsi di un “ministro per il Recovery Fund, supportato da un forte segretariato tecnico presso la Presidenza del Consiglio”. La proposta è dell’Associazione fra le società italiane per azioni (Assonime), che giovedì ha presentato un rapporto dal titolo “Quale assetto istituzionale per l’impiego dei fondi Next Generation Eu?”. A realizzarlo, un gruppo di lavoro* coordinato da Stefano Micossi, direttore generale di Assonime.
Secondo l’Associazione, il nuovo ministro dovrebbe occuparsi del “lavoro istruttorio” per la stesura del Piano su come spendere entro il 2026 i 208 miliardi in arrivo dall’Europa, assicurando al contempo “il raccordo con le amministrazioni coinvolte e l’impulso al processo decisionale”.
“Serve un forte coinvolgimento di maggioranza e opposizione, visto che il piano coinvolgerà anche la prossima legislatura – ha avvertito in conferenza stampa Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione delle Spa – e serve una buona fase di consultazione per avere il consenso dei cittadini”.
Il dicastero, da intendersi senza portafoglio, potrebbe essere identificato con quello per gli Affari europei (che sta già svolgendo il lavoro preparatorio del Piano), a patto che questo riceva “un’esplicita delega da parte del Presidente del Consiglio”, in modo da “operare come braccio operativo del Presidente stesso”, si legge ancora nel rapporto. Certo, su una strada del genere gli ostacoli non mancherebbero, perché andrebbero superare le resistenze degli altri apparati ministeriali, in primo luogo del Tesoro, poco inclini a cedere quote di competenze.
I 6 compiti del ministro per il Recovery Fund
Nel dettaglio, Assonime individua sei compiti da attribuire al ministro per il Recovery Fund:
1) tradurre gli indirizzi generali contenuti nelle Linee guida presentate a Bruxelles in scelte allocative riguardo a obiettivi e risorse di ognuna delle componenti, incluse le indicazioni circa le riforme che in esse devono essere previste;
2) assicurare la guida del Centro di coordinamento tecnico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (vedi sotto) nell’identificazione dei progetti specifici che devono comporsi all’interno delle singole componenti;
3) dirigere il processo di interazione – avvalendosi del Centro di coordinamento e dell’Agenzia della Coesione territoriale – con le Amministrazioni centrali, regionali e locali e con le strutture della Commissione europea per tutta la fase attuativa degli interventi;
4) proporre, in coordinamento con i ministeri di settore, le modifiche legislative necessarie per garantire l’attuazione dei progetti, incluso, in casi estremi, il ricorso a misure ad hoc con efficacia temporanea;
5) proporre, nel caso di veti o ritardi, al Consiglio dei ministri l’esercizio del potere sostitutivo, anche avvalendosi a tale scopo dei poteri attribuiti al Governo dall’articolo 120 della Costituzione;
6) garantire la trasparenza delle informazioni e gestire un monitoraggio pubblico in modo da assicurare l’accountability dei diversi soggetti coinvolti.
L’Associazione ritiene inoltre che sarebbe utile coinvolgere le aziende private nell’ideazione dei progetti. Perciò il ministro per il Recovery Fund – insieme al Tesoro e ai ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture – dovrebbe anche “promuovere la collaborazione fra imprese, fra imprese e università, fra imprese e centri di ricerca (come si è cominciato a fare, ad esempio, per l’idrogeno)”.
Un “Centro di coordinamento” per il supporto tecnico
Assonime, passando dal piano politico a quello tecnico, propone infine di attribuire le funzioni di monitoraggio “a un Centro di coordinamento” da istituire “presso la Presidenza del Consiglio (del tipo braccio tecnico-operativo)”. Anche in questo caso non sarebbe necessario creare una nuova struttura: basterebbe estendere le competenze del Comitato tecnico di valutazione (Ctv) che già supporta le attività del Ciae (il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei). In sostanza, il Ctv avrebbe tre compiti:
- curare la selezione dei progetti e l’azione di stimolo e verifica delle iniziative delle amministrazioni competenti;
- operare come punto di raccordo tra le amministrazioni pubbliche e tra queste e gli organismi della Commissione
europea; - assicurare il monitoraggio pubblico e trasparente sullo stato di avanzamento dei progetti.
Al momento, il Ctv è composto da un rappresentante per ogni ministro, ma l’Associazione propone di integrarlo con “un nucleo di selezionate figure di alto profilo tecnico, sia esterne sia in distacco da altre amministrazioni, scelte dal ministro per il Recovery Fund e nominate dal Presidente del Consiglio su sua proposta”.
Il Piano nazionale per l’utilizzo del Recovery Fund deve essere definito entro aprile del 2021. Gli impegni di spesa, invece, vanno completati entro il 2023, mentre per l’effettivo impiego delle risorse c’è tempo fino alla fine 2026. “Se fallisse questo Piano – detto ancora Cipolletta – l’Europa tornerebbe a essere quella dell’austerità, che abbiamo tanto criticato”.
*Il gruppo di lavoro che ha realizzato il rapporto comprende Franco Bassanini, Ginevra Bruzzone, Marcello Clarich, Claudio De Vincenti, Bernardo Giorgio Mattarella, Andrea Montanino, Marcella Panucci, Paola Parascandolo e Luisa Torchia.