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Un fisco intelligente e una radicale semplificazione per il decollo dell’e-commerce anche in Italia

Il forte ritardo dell’e-commerce e dell’e-government in Italia potrebbe trasformarsi in una straordinaria occasione di crescita ma a due condizioni: una radicale semplificazione delle transazioni online e dei relativi adempimenti e un fisco intelligente che senti le operazioni di minore importo.

Un fisco intelligente e una radicale semplificazione per il decollo dell’e-commerce anche in Italia

I rapporti Eurostat segnalano un forte ritardo dell’Italia rispetto alla media dei paesi europei nell’uso dell’e-commerce (29% su una media europea del 59%) e dell’e-government, inteso quest’ultimo come interazione online tra cittadini e P.A. (21% su una media europea del 41%).

Secondo il rapporto Assinform 2013, su dati sviluppati dal Politecnico di Milano, il mercato italiano dell’e-commerce 2012 in termini di valore (9,7 miliardi; scambi imprese/consumatori) rappresenta un settimo di quello inglese (pari ad oltre 60 miliardi di euro), un quarto di quello tedesco e meno della metà di quello francese. Più in generale, e cioè considerando il mercato globale dei prodotti, servizi e contenuti connessi al digitale (Global Digital Market), il rapporto Assinform segnala per l’Italia un andamento negativo in termini di valore negli ultimi due anni considerati (2011 e 2012; circa –2% ogni anno) e comunque un peso relativo dello stesso mercato rispetto al prodotto interno che vede l’Italia ben al di sotto della media europea e mondiale.

Questa situazione, se da un lato preoccupa, perché manifesta difficoltà nell’adattamento del nostro sistema alle dinamiche imposte a tutto il pianeta dallo sviluppo delle tecnologie basate sul digitale, d’altro lato rappresenta anche una grande opportunità ed un sfida per la crescita. Infatti esistono sicuramente importanti margini di miglioramento, specie per la piccola e media impresa, ed è su questo che vorrei concentrarmi con qualche breve notazione.

Il ritardo nell’e-commerce corrisponde innanzitutto ad un ritardo nell’offerta di beni e servizi online da parte delle imprese. Possono individuarsi numerose cause per questa situazione, sulle quali sarebbe possibile agire, ma un sicuro impulso verso la crescita in termini di offerta sarebbe fornito da interventi legislativi e regolamentari diretti ad una radicale semplificazione delle transazioni online e dei connessi adempimenti.

Per le transazioni online con gli acquirenti finali (consumatori/utenti) di importo limitato, di beni virtuali o meno, che si mantengano quindi al di sotto di una determinata soglia di valore, potrebbe ad esempio stabilirsi l’esenzione assoluta da adempimenti di natura contabile e fiscale, come l’emissione di fattura o documenti analoghi. Le transazioni di modico valore che avvengono online transitano comunque per il canale bancario, con l’effetto della registrazione delle singole movimentazioni e la possibilità di verifica a posteriori in caso di controlli di natura fiscale o contabile, anche presso i soggetti gestori della moneta elettronica. Semplificazioni di questo genere ridurrebbero i costi di gestione, che per imprese di piccole e medie dimensioni possono rappresentare un peso notevole, senza rendere impossibile la ricostruzione delle transazioni intervenute. Imprese di grandi dimensioni potrebbe invece restare soggette a regimi più rigorosi, assumendo che le dimensioni stesse della loro organizzazione impongano comunque modalità di tenuta della contabilità più complesse.

La riduzione degli adempimenti amministrativi per le transazioni al di sotto di determinate soglie e riguardanti le imprese di medie e piccole dimensioni avrebbe inoltre anche un altro effetto: la riduzione dei dati personali che è obbligatorio richiedere ai consumatori finali. E’ stato rilevato che la necessità di fornire tali dati rappresenta una tra le principali cause di diffidenza da parte degli utenti. In definitiva: meno dati che le imprese siano tenute a chiedere e mantenere; meno costi di gestione e per la sicurezza delle reti e delle banche dati; minore diffidenza da parte dei consumatori.

Anche il settore dei pagamenti online potrebbe essere interessato da semplificazioni ed incentivi, con effetti benefici per l’e-commerce. Da alcuni si auspica spesso l’imposizione di pagamenti in moneta elettronica, ma la strada corretta sembra quella dell’incentivazione. Il legislatore e gli stessi istituti bancari dovrebbero impegnarsi per rendere i micropagamenti ed i pagamenti online e con moneta elettronica bancaria o virtuale più convenienti, rivolgendosi non solo ai consumatori, ma anche alle imprese. A questo proposito, misure legislative e regolamentari incentivanti sembrano senz’altro possibili.

Anche in tema di tutela dei dati personali sono possibili semplificazioni e chiarimenti, senza che ciò significhi attentare a diritti fondamentali. Quasi sempre il tema dei dati personali è affrontato dai media, dagli opinion leaders e dal legislatore alla ricerca di facile consenso, esclusivamente dal punto di vista della “protezione” delle persone, della tutela dai pericoli che si incontrano nella navigazione e nella trasmissione dei dati alle imprese che li raccolgono. A questa dimensione di “difesa dalle minacce” rappresentate dal trattamento dei dati e dall’avvento di Big Data (termine che evoca purtroppo il Big Brother di Orwelliana memoria), e che si autoalimenta di paure spesso ingiustificate, andrebbe affiancata quella del riconoscimento del valore dei dati e dell’utilizzo che le imprese ne possono fare, anche a vantaggio di coloro che i dati li forniscono. Negli Stati Uniti i servizi inerenti la raccolta, il trattamento e lo scambio dei dati personali rappresenta un settore economico di grande rilievo, nel quale operano società multinazionali che impiegano decine di migliaia di addetti. In Europa, il trattamento dei dati personali è visto come un’attività fonte di continue minacce per i diritti del cittadino. Si è perso di vista il vantaggio strategico e competitivo che tale risorsa offre alle aziende d’oltreoceano. Un riequilibrio di questo approccio, unito ad una semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, già possibile a legislazione europea ed italiana invariate, aiuterebbe a restituire al trattamento dei dati il valore che in Italia (ma il problema, come detto, ha dimensioni europee) è ancora negato.

Infine, l’e-government. Anche in questo ambito la semplificazione non sembra la parola d’ordine, mentre dovrebbe esserlo. Basti leggere la tortuosa normativa in tema di firma digitale o l’imposizione all’Italia del sistema della posta elettronica certificata, sconosciuto alla maggior parte del mondo. Sono in costruzione interventi di larga portata (come il Servizio Pubblico di Identità Digitale), ma il settore nel quale sembrano già possibili azioni concrete è quello della digitalizzazione ed accessibilità dell’enorme patrimonio informativo detenuto dalla P.A. centrale e dagli innumerevoli enti del settore pubblico. Si tratta anche in questo caso di prendere coscienza del valore dei dati nella società dell’informazione. Valore che si rivela e dispiega mettendo a disposizione dell’iniziativa privata, senza che peraltro la mano pubblica ne perda il controllo, la risorsa rappresentata dai dati stessi in forma digitalizzata. I dati come bene comune, da rendere accessibili attraverso standard che privilegino la interoperabilità e l’apertura, evitando di ricreare monopoli e strutture chiuse, se non nella misura e per il tempo strettamente indispensabili alla digitalizzazione del patrimonio pubblico, quando si intenda o si sia costretti a porre a carico dei privati i relativi investimenti. Gli strumenti normativi, europei e nazionali, non mancano, occorre dunque che la pubblica amministrazione si metta effettivamente al servizio di questa operazione, perseguendo interessi generali e con una visione di ampio respiro.

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