L’acqua non li aveva mai spaventati. Contadini, piccoli imprenditori, gente comune, in certi periodi dell’anno l’aspettavano l’acqua. Ne avevano bisogno per i campi, per le piccole attività, per vivere. Un anno fa dai primi giorni di maggio e per i successivi 15 giorni il cielo gliene ha mandata talmente tanta che straripata, violenta, si è portata via 15 persone. Vittime innocenti, decedute lungo uno sterminato pantano di 50 Comuni. Ondate di piena di fiumi e rigagnoli, nubifragi, argini in frantumi. Solo i corsi d’acqua esondati sono stati 23. Hanno portato via quelle vite oltre a ogni altra ogni cosa.
A essere precisi, come i tecnici della Protezione civile, il disastro si è sviluppato dal 3 al 17 maggio. La Regione “solatia, dolce paese” come la chiama Giovanni Pascoli, dove è nato il tricolore, dove i compagni socialisti e comunisti hanno realizzato un modello socio-economico che va avanti dal dopoguerra, è stata travolta da eventi catastrofici. È troppo sofisticato da queste parti parlare di climate change, qui è tutto più genuino e spontaneo. È noto da secoli che in tutta l’Emilia Romagna ci sono chilometri di terra sotto il livello del mare. Le descrizioni di Giovanni Guareschi sulle esondazioni del Po dalle parti di Brescello, si sono avverate ma in modo molto meno romantico di come le affrontano Peppone e Don Camillo.
Indagini e danni
La natura è stata violenta, vile, verso un popolo che l’ha sempre rispettata. Lutti, miliardi di danni e dopo un anno solo un fascicolo nelle mani dei giudici di Forlì e Ravenna per omicidio colposo contro ignoti. I risarcimenti sono lenti, a Faenza c’è gente ancora fuori casa. Tra qualche giorno sarà nominata la Commisione di esperti che studierà più a fondo le cause del disastro e magari ci dirà cosa non è stato fatto, chi doveva farlo. Forse la Procura emetterà qualche avvio di garanzia. L’alluvione – è stato il primo giudizio – è stata causata dei cambiamenti climatici, da un ciclone arrivato dall’Africa con quantità di acqua eccezionali che non sono riuscite ad andare a mare.
Ma fiumi e rigagnoli erano protetti? Mediamente cosa si fa per non lasciarci la vita quando ci sono questi eventi? Straordinari, si, inaspettati, ma che hanno bisogno di prevenzione adeguata, di strumenti idonei a pre-avvvisare le persone. Sono temi che troviamo nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti, ormai. La lista delle tragedie italiane è la più fitta d’Europa. Dire ancora di Italia fragile, è quasi una burla.
Il 30 giugno 2024 il piano di prevenzione
Da oggi e nei giorni a venire ci saranno occasioni di ricordo e cordoglio. Per i danni siamo fermi oltre 8 miliardi di euro, con la metà per strade, ponti, argini dei fiumi, canali. Il Generale Francesco Paolo Figliuolo come Commissario straordinario ha la supervisione su tutto quello che c’è da fare. In Regione è stato depositato un primo piano di prevenzione. Lo ha preparato l’Autorità di bacino del Po, con la Regione stessa e il commissariato straordinario. Il testo finale dovrebbe essere pronto per il 30 giugno.
“Daremo più spazio ai fiumi, potenziando il contenimento delle piene a monte, arretrando le attuali arginature e rendendole resistenti alla tracimazione. Elaborare e attuare strategie innovative per i fenomeni di dissesto dei versanti, visto l’elevato numero delle frane, oltre 80mila, in gran parte di nuova attivazione in seguito agli eventi dello scorso maggio” si legge nel documento. Una programmazione di cose da fare, da condividere con i territori. Come un quadro meno tetro contro le congiure del clima, a cui qualcuno, ma a Roma, deve mettere una solida cornice.