La pandemia non è passata solo come un rullo compressore sullo scenario della ristorazione italiana provocando i disastri economici ma anche sociali che abbiamo sperimentato in questo anno di ristrettezze, ma ha ottenuto anche un altro effetto quello di incidere sulla cultura alimentare degli italiani. Certamente ed è difficile dirlo per quanto tempo, i principi della nostra alimentazione non sarà più quelli di prima.
Molti ristoranti stellati nel riaprire hanno modificato i loro menù alleggerendo l’aspetto più complesso della loro cucina per convertirsi a una territorialità dalla quale far emergere gusti e prodotti autentici della terra, possibilmente della filiera a chilometro zero. Le statistiche di vendita della grande distribuzione ci rappresentano un paese più attento all’alimentazione salutare e alla salvaguardia dell’ambiente meno dedito alla carne e più alle verdure, all’olio extravergine d’oliva, ai principi della Dieta mediterranea. In questo nuova situazione stanno riscontrando notevole successo i ristoranti vegetariani, persino i ristoranti vegani guardati oggi con minore diffidenza.
È il momento soprattutto dei ristoranti che si ispirano a cucine etniche come il Poké, di gran moda fra i giovani, come cibo healthy con le sue ciotole di pesce crudo e verdure che hanno conquistato tutta Europa e che sembrano sono destinati a spodestare il sushi nella scala delle cucine a base di raw fish.
Se i ristoranti cinesi hanno risentito – indebitamente messi sotto accusa per le loro origini – del fatto di rappresentare la cucina del paese che ha esportato il Covid in tutto il mondo, viceversa è un gran fiorire di questi tempi di ristoranti giapponesi. Quella giapponese è una cucina semplice, che manipola al minimo i suoi ingredienti per esaltarne religiosamente il gusto cercando di preservarne la purezza.
Perfino uno chef alla moda come Alessandro Borghese ha riservato su Sky Uno e NOW TV, la sesta edizione di Alessandro Borghese Kitchen Sound con una nuova serie di puntate dedicate al mondo del Sol Levante, ospitando Enrico Schettino l’imprenditore napoletano che ha inventato il format Giappo a Napoli e che oggi è diventato un gruppo di venti locali tra diretti e franchising.
Dici Giappone e pensi subito al Sushi, poi al sashimi, poi al riso, poi alla tempura, ma c’è anche la pasta, che è diversa dalla nostra ma si presta a infinite gustose e salutari declinazioni, che vanno sotto il nome di Ramen, tipico piatto giapponese a base di spaghetti di frumento serviti in brodo di carne e/o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso e con guarnizioni come maiale affettato, alghe marine secche, kamaboko, negi e a volte mais.
Di origini antichissime, importati dalla Cina, fino al 1900 i ramen di tagliatelle (tagliate, piuttosto che tirate a mano), con un po’ di guarnizioni, e un brodo insaporito con sale e ossa di maiale venivano serviti dai chioschi mobili di cibo da strada gestiti dai cinesi. Una curiosità: la loro presenza veniva annunciata da un corno musicale detto charumera dal portoghese charamela).
Dopo la Seconda guerra mondiale però si diffuse nel mercato giapponese la farina economica importata dagli Stati Uniti d’America. Nello stesso periodo milioni di soldati giapponesi erano tornati dalla Cina e dall’Estremo oriente continentale. Molti di questi rimpatriati erano diventati pratici di cucina cinese e di conseguenza aprirono ristoranti cinesi in tutto il Giappone. Mangiare ramen, benché diffuso, era ancora un’occasione speciale che richiedeva mangiare fuori.
Da li a esportare i ramen in tutto il mondo fu tutt’uno. Come sempre in questi casi spesso le cucine perdono il loro sapore originario addomesticato alle esigenze della globalizzazione. Non così a Roma, dove, a due passi dalla Fontana di Trevi, che fece da quinta teatrale alla più celebre sequenza della Dolce vita di Federico Fellini con Anita Ekberg e Marcello Mastroianni, c’è quello che si può considerare un vero e proprio autentico angolo di Giappone culinario.
Tutto merito di Akira Yoshida un intraprendente ex giocatore di calcio che si trasferì in Italia a 17 anni per giocare in una squadra di calcio professionistico in Abruzzo. Il ragazzo aveva i numeri e ben presto venne convocato in nazionale di calcio a 5 giapponese continuando a giocare fino a 26 anni in serie A. Ben presto però venne attratto dal mondo del business prima con la moda insieme con Bobo Vieri e Maldini pubblicizzando un nuovo marchio di abbigliamento in Giappone che oggi conta 3 stores .
Poi a 29 anni, la svolta gastronomica. Yoshida fiuta l’aria e apre un Ramen bar all’ostiense, al quale seguono a Roma. Ci si butta con l’impegno del calciatore arrivato in nazionale e dell’uomo d’affari che produce brand di successo. Studia il format con la collaborazione di un affermato Ramen bar in Giappone e stringe accordi anche con NISSHIN un gruppo internazionale di processed food attivo in tutto il mondo. per la produzione della pasta fresca in Italia.
La sua mission: diffondere l’autentica tradizione culinaria del Sol Levante partendo da Roma, la città che lo ha adottato. Qui nel 2016 al quartiere Ostiense aveva fondato “Ramen Bar Akira”, cui sono seguite diverse aperture come la bottega in stile street food all’interno del Mercato Centrale alla Stazione Termini per poi aprire anche a Torino. Attualmente ha già 5 locali attivi e ne sta per aprire uno a Fiumicino. Sempre inseguendo il significato autentico della tradizione culturale gastronomica del suo paese decide di alzare il livello dell’offerta aprendo a Fontana di Trevi Ramen Lab, il primo laboratorio artigianale di noodles del gruppo Akira,
l protagonista è il Ramen. La regola di base è qualità e originalità. Per questo ha fatto venire una macchina impastatrice dal Giappone che costa decine di migliaia di euro, ha mandato i suoi cuochi ad apprendere dai maestri l’arte del Ramen, ha adottato tecniche di cottura che durano tassativamente 12 ore. E non si dichiara mai soddisfatto:” Ci teniamo alla qualità, in questi 6 anni non abbiamo mai smesso di migliorare la qualità e inventare sempre nuovi prodotti.
Il nuovo menu amplia la carta dei ramen già presente arrivando a contarne 12 tipologie con brodo a base di carne di maiale, carne di pollo, oppure vegetale cotto rigorosamente per 12 ore. Qui è possibile personalizzare il tipico piatto giapponese a base di spaghetti di frumento serviti nel brodo scegliendo lo spessore della pasta, fine o spessa, il tempo di cottura, normale o al dente, oltre ai diversi topping come le fettine di maiale, l’uovo sodo marinato nella soia, l’alga nori, il porro e la salsa piccante.
Ogni ciotola di ramen ha un peso differente e corrisponde a una diversa area geografica: il Tonkotsu Shoyu, ad esempio, è una specialità di Fukuoka con brodo di maiale, una fetta di carne di maiale, saporita salsa Shoyu, spinaci e alghe, ancora il Tonkotsu Shio, ricetta più antica e sapida oppure il Tonkotsu Miso Spicy per chi ama il piccante. Sono presenti due versioni vegetariane, il Veggy Ramen a base di brodo vegetale, miso piccante, verdure miste, alga, olio di oliva e sesamo, e il Veg Deluxe, meno speziato ma sempre con brodo vegetale, latte di soia, tempura di verdure, tofu, mais, porro, salsa Shio, alga e olio di oliva. Gradevole anche nei periodi più caldi, c’è Hiyashi Cold Ramen viene servito freddo con carne di maiale a listarelle, pomodori, cetrioli, omelette, salsa di soia con zenzero, sesamo e alga, un piatto fresco, sempre colorato e nutriente.
Il Ramen si può accompagnare anche ad alcune prelibatezze giapponesi come Edamame (fagioli di soia), Onigiri (polpette di riso ripiene di pesce o verdure), Gyoza (ravioli fritti e ripieni di pollo o verdure), Takoyaki (palline di polpo fritte), Karaage (bocconcini di pollo fritti), Curry Don (riso bianco, salsa al curry, patate, carote e cipolla), Chashu Don (carne di maiale marinata in salsa di soia, condita con porro, salsa piccante, alga nori e riso bianco). Due tipi di dolci completano il menu: Dorayaki, pancake ripieno di marmellata di fagioli rossi Azuki, e Taiyaki, stesso dessert tipico ma a forma di pesce.
Insomma, un vero e proprio autentico angolo di Giappone dove ci si siede e si entra nel pieno della più autentica storia culinaria del sol levante.