Tra le conseguenze forse non previste della Brexit, e aggravate dal Covid, mancava solo la crisi dei polli. Non stiamo dando dei volatili agli inglesi, ma qui si parla degli animali veri e propri, quelli che finiscono sulle tavole delle famiglie ma soprattutto quelli cucinati arrosto nelle migliaia di fast food sparsi nel Regno Unito. Tra i più rinomati c’è quello della catena (sudafricana) Nando’s, conosciuta da tutti per il suo pollo in salsa piccante Peri-Peri: ecco, Nando’s ha dovuto chiudere una cinquantina di locali, sui poco più di 400 totali, quindi quasi il 25%. Il motivo? Non riusciva più ad approvvigionarsi di polli. Lo stesso problema che sta riscontrando l’altrettanto nota catena KFC, che invece è specializzata nel pollo fritto e ha dovuto comunicare ai clienti possibili cambiamenti nel menù nelle prossime settimane. “In tutto il paese ci sono state alcune interruzioni nelle ultime settimane, quindi le cose potrebbero essere leggermente diverse la prossima volta che verrai a trovarci”, avverte KFC sul suo profilo Twitter.
La difficoltà nel rifornirsi di pollame, che presto potrebbe interessare anche pub e ristoranti indipendenti, è dovuta ad una clamorosa penuria di personale nell’intera catena di approvvigionamento, dagli allevatori agli addetti alla lavorazione della carne, fino agli autisti dei mezzi pesanti che dovrebbero trasportare i richiestissimi volatili in giro per il Regno Unito. Queste mansioni sono principalmente svolte da stranieri, anche e soprattutto europei (in particolare dell’Europa dell’Est), molti dei quali però per effetto della pandemia sono rientrati nei loro Paesi di origine per trascorrere il confinamento e magari, scoraggiati o impossibilitati dalla Brexit, non hanno più fatto ritorno Oltremanica, lasciando scoperta l’industria agroalimentare. Si stima che da quando c’è il Covid abbiano lasciato il Paese tra 500.000 e 1,3 milioni di stranieri, e che ancora a giugno centinaia di migliaia di posti di lavoro nella filiera della ristorazione erano vacanti.
Il Covid inoltre ha inciso pure per coloro che sono rimasti. Tra lockdown e quarantene obbligatorie infatti, l’industria del pollo (come tante altre) ha avuto enormi difficoltà nel gestire il suo personale e chi cerca nuovi lavoratori fa fatica a trovarli, perché magari non vaccinati o restii ad accettare un lavoro a stretto contatto con fornitori e clienti. Da questa settimana tuttavia nel Regno Unito le persone vaccinate entrate in contatto con positivi al Covid non avranno più l’obbligo di mettersi in quarantena, e questo dovrebbe facilitare anche l’attività lavorativa in generale, compresa la manodopera addetta al pollame. La crisi dei volatili è però, secondo alcuni esperti, destinata a durare fino a Natale: la stampa britannica riporta che molti produttori hanno già comunicato un taglio della produzione annuale di polli e tacchini del 10%, e soprattutto un taglio della produzione natalizia, quando la tradizione impone in particolare il tacchino a tavola, del 20%.
La gravità e la complessità della situazione è spiegata da Richard Griffiths, direttore del British Poultry Council’s, l’associazione che rappresenta l’industria del pollame dal 1967: “La sicurezza alimentare del Regno Unito sarà colpita da un doppio smacco: l’inflazione alimentare e il dover fare sempre più affidamento sul cibo importato. Questo può solo portare a un sistema alimentare su due livelli, in cui il cibo britannico di alta qualità diventa fuori dalla portata di molti consumatori con meno possibilità economiche”.