“Credo che alla fine firmeranno la pace. Ma solo in vista dei mondiali del Qatar. Prima, per almeno un anno, se le daranno di santa ragione”. Romy Gay, per 14 anni alla guida del marketing della Juventus, vede così il confronto/scontro tra Fifa ed Uefa, ovvero le due massime istituzioni che si dividono la torta dei diritti del calcio, lo sport più ricco e seguito del pianeta. Ma anche il più indebitato e diviso per clan, più che per club.
La guerra tra la Fifa, la federazione mondiale guidata da Gianni Infantino, legale italo-svizzero, e l’Uefa di Aleksandr Ceferin, sloveno, anche lui avvocato, è ufficialmente scoppiata dopo mille scaramucce, nello scorso week end per iniziativa di uno dei padri nobili del soccer: il francese Arsène Wenger, già allenatore guru dell’Arsenal, ad inizio millennio definito dallo storico Eric Hobsbawm uno dei grandi ispiratori della globalizzazione per la capacità di fondere in una squadra i tanti spiriti e le personalità del calcio. E’ stato lui, nelle vesti di “direttore dello sviluppo del calcio mondiale” (ruolo attribuitogli dalla Fifa) a lanciare da Doha, capitale del prossimo Mondiale, il guanto della sfida: “Abbiamo deciso di riorganizzare il calendario internazionale delle partite – ha detto affiancato da campioni come il brasiliano Ronaldo e Peter Schmeichel, il leggendario portiere danese – perché 166 Paesi ci hanno chiesto di organizzare il Mondiale ogni due anni. Vediamo se si potrà cambiare o no perché siamo in una democrazia, ma sono convinto che il mio piano sia quello giusto”.
Un diktat, solo all’apparenza diplomatico, che ha il sapore dell’ultimatum: oltre al Mondiale ogni due anni, la Fifa propone che, a partire dal 2024, le partite delle Nazionali siano concentrate ad ottobre-novembre oppure ad ottobre e marzo. Il resto dell’anno, salvo le vacanze concesse agli atleti per una parte di luglio, va lasciato ai club d’appartenenza. Ci sarà così lo spazio per giocare i Mondiali ogni due anni a partire dal 2028. Negli anni dispari, invece, ci sarà spazio per Europei, Coppa d’Africa e del Sud America. E, come ha sottolineato Wenger, non è un piano messo a punto a tavolino, bensì il frutto di una consultazione planetaria, condotta con il riserbo che meritano le grandi cospirazioni.
Già, perché la missione di Wenger ha toccato tutte le capitali del pallone, ma ha evitato con cura la sede dell’Uefa, da cui partono a raffica i siluri velenosi di Ceferin che peraltro, convinto com’è che dietro la tentata secessione della SuperLega ci sia lo zampino di Infantino, preferisce sparare contro i ribelli di Juventus, Barcellona e Real Madrid . “Non mi dispiacerebbe – ha dichiarato a Der Spiegel lo stesso giorno della sortita di Wenger – se questi club se ne andassero. E’ molto divertente che vogliano creare una nuova competizione e allo stesso tempo vogliano giocare la Champions League. Hanno dirigenti semplicemente incompetenti. Sono persone che hanno tentato di uccidere il calcio”.
Una sortita un po’ demenziale se si considera, come ha sottolineato Carlo Ancelotti. “che è strano dar dell’incompetente al presidente di un club come il Real Madrid che ha vinto 13 Champions”. E che dire di un presidente di federazione che si augura l’uscita dei suoi associati più prestigiosi pur di salvare la poltrona? Più diplomatico il suo vero supporter, Nasser Al Khelaifi, il presidente del Paris Saint Germain, balzato alla guida dei 200 e più club professionisti europei (l’Eca) dopo la rovinosa caduta di Andrea Agnelli, folgorato dalla marcia indietro delle squadre inglesi dalla super Lega. “Nessuno ci ha ancora interpellato” dice al Financial Times il dirigente qatarino, il vero beneficiato dal grande disordine. Grazie ai problemi altrui, il Psg ha potuto far incetta di campioni a prezzo di saldo in assoluto dispregio del principio del fair play (sospeso, peraltro da rivedere, assicura zelante Ceferin)) aumentando considerevolmente le chances di vittoria nella Champions 2022, lo spot più prezioso prima del Mondiale in Qatar. Anche perché, in mezzo a tante polemiche, si parla poco delle vittime dei cantieri di Doha, obbligati a lavorare a 50 gradi e più per salari spesso inferiori a quanto pattuito.
Non si vede, per ora, il possibile compromesso tra i Big che si sfidano per una torta ricchissima. La finale Francia-Croazia dei Mondiali 2018 è stata vista da 1,1 miliardi di spettatori. Il torneo ha mobiliato più di 6 miliardi di euro in sponsorizzazioni e diritti di vario genere. Ma, secondo gli esperti, queste cifre potrebbero addirittura raddoppiare se la competizione a 48 squadre dopo l’ultima riforma, venisse migliorata all’insegna dello spettacolo. A rischio però, teme l’Uefa, di depauperare la Champions, l’altra gallina dalle uova d’oro. Senza dimenticare che lo scontro tra i due avvocati ha generato tante competizioni inutili con il solo obiettivo di far cassa, con il rischio di inflazionare la stagione, come dice Wenger. “L’attuale calendario non è sostenibile. A settembre c’è già una prima pausa, a ottobre la seconda, a novembre la terza e a marzo la quarta finestra. A giugno l’ultima finestra e a luglio inizia la nuova stagione. Tutto questo è troppo”.
Certo, non è detto che la formula Fifa sia per forza la migliore, anche se ha il pregio di mettere d’accordo i Campioni (“è senz’altro meglio aver l’occasione di vincere i Mondiali ogni due anni” confessa Ronaldo) e pure le esigenze delle federazioni più deboli, quelle che un Mondiale non lo vinceranno mai. Come Maldive, Sri Lanka, Cipro e Bangladesh, Paesi che non s’illudono di partecipare alla fase finale ma che, in un comunicato congiunto, hanno chiesto “più Mondiali per offrire ai giovani talenti la possibilità di emergere”, magari con la maglia di un’altra Nazionale.
Come andrà a finire? Il gioco del calcio è troppo serio per affondare sotto le manovre degli avvocati. Ma non si può escludere un divorzio clamoroso. I Mondiali, del resto, sono il frutto di una frattura a suo tempo clamorosa. Nel 1927 il Comitato Internazionale Olimpico decise di escludere il calcio dalle Olimpiadi di Los Angeles, visto il seguito inesistente del soccer negli Stati Uniti. E il presidente della federazione, il francese Jules Rimet rispose lanciando, con un certo coraggio, il primo Mondiale nel 1930 in Uruguay.