Mentre l’Europa fa passi avanti per rinegoziare le sue regole interne, a cominciare dal Patto di stabilità, in questi giorni è caldo un altro dossier: quello dello storico accordo di libero commercio con il Mercosur, cioè con l’unione economica del Sudamerica. Un accordo su cui si tratta da 20 anni, che coinvolge quasi 1 miliardo di persone e il 25% del Pil globale, e che sembrava finalmente in dirittura d’arrivo prima dell’ennesima frenata. Bruxelles, ufficialmente, insiste nel dire che da parte sua “l’intesa sarà chiusa il prima possibile”, ma in realtà è in corso una vera e propria partita a scacchi, col presidente francese Emmanuel Macron che dalla COP28 di Dubai faceva sapere di essere perplesso se non contrario, mentre a Berlino il cancelliere tedesco Olaf Scholz riceveva il presidente brasiliano Lula ed entrambi spingevano per la firma. Firma che ad un certo punto era nell’aria: giovedì scorso al vertice Mercosur di Rio di Janeiro, l’ultimo presieduto proprio da Lula (da gennaio tocca al Paraguay), erano inizialmente attesi Ursula Von der Leyen e Valdis Dombrovskis, probabilmente per dare l’annuncio ufficiale. Invece non se ne è fatto più niente: la presidente della Commissione e il Commissario per il commercio sono rimasti a casa.
Ue-Mercosur: l’Europa frena sull’accordo ma anche il Sudamerica è diviso al suo interno
La verità è che lo stesso Sudamerica è reticente e diviso. Basti pensare che Lula da un lato fa la “colomba” e avrebbe voluto chiudere la pratica approfittando della presidenza di turno del Mercosur, dall’altro ha sollevato non pochi dubbi su un accordo che ad alcuni membri del suo partito e del suo governo sembra una trappola, al punto da dire, nel corso del summit di Rio, che “l’Europa ci ha trattato come Paesi inferiori, direi quasi come Paesi colonizzati”. L’agreement dunque converrebbe, secondo l’opinione di molti economisti e della stampa sudamericana, quasi solo all’Europa, che avrebbe così accesso agile alla ricchissima offerta di materie prime, incluse quelle decisive per la transizione energetica come litio e metalli rari, riuscendo così a non farsi tagliare fuori dal duopolio di Usa e Cina, che da tempo si contendono la supremazia commerciale nell’area latinoamericana. Per l’Unione europea quello col Mercosur sarebbe il secondo accordo commerciale più importante dopo quello firmato nel 2019 con il Giappone, e sul tema è intervenuto in questi giorni pure Romano Prodi, che da Buenos Aires per un evento legato all’Università di Bologna ha detto: “Manca una trattativa sistemica e globale tra Europa ed America Latina. Con le elezioni sempre alle porte i governi non prendono decisioni di lungo periodo”, riferendosi al voto argentino che ha sancito la vittoria dell’outsider Javier Milei, uno dei motivi che hanno impedito la firma attesa a Rio.
. Mercosur: l’elezione di Milei ha spostato l’ago della bilancia
Senza dubbio l’elezione di Milei ha spostato l’ago della bilancia a favore del no all’accordo, ma già nei mesi precedenti l’Uruguay se ne era andato per conto suo firmando un importante bilaterale con la Cina. E lo stesso Brasile, pur riconoscendo un miglioramento nell’ultimo testo presentato quest’anno da Von der Leyen, non è mai stato del tutto convinto. Se da parte europea i dubbi sono più che altro sulla reciprocità di regole sollecitata da Scholz e soprattutto da Macron (“Un’intesa non è possibile se non rispettano gli accordi di Parigi e se non rispettano gli stessi vincoli ambientali e sanitari che noi imponiamo ai nostri produttori”), dal lato sudamericano il nodo è anche un altro: quello delle cosiddette quote nazionali, cioè della possibilità di blindare una parte delle risorse per reindustrializzare la regione, e rendersi così meno dipendenti dai prodotti tecnologici importati dall’Europa. Per superare questo ostacolo, così come quello delle sanzioni per i prodotti ottenuti dal diboscamento dell’Amazzonia (aggiunto con unaside-letter , cioè un testo annesso voluto da Bruxelles), c’è chi sostiene che l’accordo possa essere splittato, rimandando a data da destinarsi la discussione sugli aspetti non condivisi. Per quanto riguarda le sanzioni green a non gradire era stato in modo particolare proprio il Brasile, che aveva parlato di “decisione unilaterale”, che in un periodo così breve danneggerebbe l’agrobusiness, che sostiene l’economia del Paese.
La Commissione aveva poi cercato un punto di incontro, ricordando che in realtà già da tempo l’Europa scoraggia l’importazione di materie prime o prodotti finiti contrari alla tutela dell’ambiente, e che dal 2024 queste sanzioni – già in atto, a prescindere dall’accordo complessivo – verrebbero semplicemente allargate ad altre categorie di beni. Ecco il perché delle parole di Macron: se da un lato questa formula può penalizzare l’export di Paesi come il Brasile, dall’altro le imprese europee chiedono che i paradigmi green vengano rispettati da tutti, altrimenti la partita non viene giocata sullo stesso campo e con le stesse regole. In Sudamerica c’è tuttavia anche chi contesta la stessa base dell’accordo, ossia di liberare dai dazi commerciali circa il 90% dei prodotti in entrata e uscita tra Europa e America del Sud: alcuni economisti fanno osservare che il continente dell’emisfero australe applica ad oggi mediamente molto più alti di quelli europei, e che quindi ci perderebbe di più eliminandoli. La partita è apertissima, e sullo sfondo remano contro Usa e – soprattutto – Cina.