È andata male. Il Consiglio europeo di giovedì si è chiuso senza un accordo sulle misure da prendere contro la crisi innescata dal coronavirus. Dalla videoconferenza di sei ore fra i capi di Stato e di Governo non è uscita alcuna intesa: solo la decisione di prendere ancora tempo. Una pausa necessaria a stabilire se l’Europa sarà in grado di reagire con una voce sola, oppure se ogni Paese dovrà arrangiarsi da sé. Entro la fine della settimana prossima l’Italia pretende “una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo”, ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ma anche nella migliore delle ipotesi, prima di vedere un vero e proprio piano comunitario bisognerà aspettare ancora di più: almeno 14 giorni, termine entro il quale l’Eurogruppo presenterà le nuove proposte al Consiglio.
La spaccatura rimane quella di sempre: i Paesi mediterranei (con qualche aggiunta) chiedono regole flessibili e mutualizzazione dei rischi, ma il Fronte del Nord rifiuta.
IL FONDO SALVA STATI (MES)
La questione più immediata riguarda l’utilizzo dei 410 miliardi in pancia al Fondo salva Stati (Mes). Italia, Francia e Spagna vorrebbero che ai singoli governi fosse consentito di accedere a queste risorse senza dover rispettare le regole attuali, che impongono di sottoscrivere un accordo d’austerità con la Troika Ue. Una condizione a cui però Olanda, Austria e Germania non intendono rinunciare. “Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato, allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, l’Italia non ne ha bisogno”, ha detto ancora Conte, che al termine del Consiglio ha rifiutato di firmare qualsiasi bozza di conclusioni. Del resto, considerato che il limite è al 2% del Pil, il nostro Paese potrebbe ottenere dal Mes 36 miliardi: una cifra non astronomica, reperibile con nuove emissioni di titoli di Stato che non imporrebbero alcun impegno sul rigore dei conti.
EUROBOND (O CORONABOND)
Per quanto riguarda gli Eurobond (o Coronabond, o Sanibond) a chiederli sono nove Paesi su 27, gli stessi che prima del Consiglio avevano scritto una lettera a Bruxelles per superare il tabù dei titoli comunitari. Il nucleo fondamentale è costituito ancora una volta da Italia, Francia e Spagna, cui si aggiungono Grecia, Portogallo, Irlanda, Lussemburgo, Belgio e Slovenia. Dall’altra parte della barricata i no più decisi arrivano da Olanda e Austria: “Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti”, ha tuonato il numero uno di Vienna, Sebastian Kurz. Anche la Germania è formalmente contraria: “Non ritengo gli Eurobond lo strumento giusto”, ha detto il ministro tedesco delle Finanze, Olaf Scholz. Tuttavia, Angela Merkel continua a mantenere una posizione di maggiore equilibrio. E questo lascia sperare che un compromesso sia ancora possibile. “Non abbiamo parlato nello specifico delle condizionalità o meno del Mes – ha detto la cancelliera al termine del Consiglio – Quanto all’ipotesi dei Coronabond, ho spiegato che dal punto di vista tedesco noi preferiamo il Mes, in quanto strumento nato per affrontare le crisi. Ma non siamo entrati nei dettagli”.
Peraltro, i titoli di cui si parla in questi giorni non sono dei veri e propri Eurobond. Le obbligazioni chieste da Roma, Parigi e Madrid si chiamerebbero European recovery bond e sarebbero titoli europei vincolati alla crisi del coronavirus ed emessi una tantum. Significa che il debito pubblico dei Paesi mediterranei non verrebbe mai e poi mai “socializzato” per intero, ma allo stesso tempo i governi avrebbero a disposizione migliaia di miliardi per rilanciare l’economia, tenendo lontani eventuali attacchi speculativi sui conti pubblici. Senza contare che la Bce, dopo aver lanciato il Pepp, potrebbe sottoscrivere anche al 100% le obbligazioni comunitarie.