Quarantacinque milioni in più per Horizon 2020, il programma europeo di ricerca e sviluppo il cui budget era stato appena “limato” a vantaggio del piano Juncker per favorire gli investimenti nei prossimi tre anni. Altri 32 per incrementare i fondi destinati alla politica estera, 16 per il programma di scambi studenteschi Erasmus+, e infine “spiccioli” residui per le agenzie di supervisione bancaria e Frontex (controllo delle frontiere esterne). Ma soprattutto sono stati i 4,8 miliardi destinati ad alleggerire la lunghissima lista delle fatture arretrate e ancora non pagate dalla Commissione europea la chiave di volta che lunedì sera ha consentito di sbloccare in extremis il duro confronto fra l’Europarlamento e il Consiglio europeo sugli emendamenti al bilancio di quest’anno e su quello per il 2015. Per quel che riguarda quest’ultimo documento, il compromesso raggiunto lunedì fra i negoziatori del Parlamento e quelli del Consiglio ci dice che il totale degli impegni è stato portato a 145,3 miliardi mentre quello dei pagamenti è stato fissato in 141,2 miliardi.
E così, salvo del tutto improbabili colpi di scena, la settimana prossima il documento finanziario dell’Ue per l’anno in arrivo concluderà il suo accidentato percorso con l’approvazione definitiva da parte dell’Assemblea di Strasburgo in occasione dell’ultima sessione plenaria del 2014, in programma dal 15 al 18 dicembre. Passaggio preceduto già ieri dal sì del Coreper, il Comitato dei rappresentanti permanenti (gli ambasciatori presso l’Ue dei 28 Stati membri). Un sì al quale farà seguito il voto della commissione parlamentare Bilanci che giovedì 11 terrà una riunione straordinaria per esprimere anch’essa un formale parere sull’accordo prima del voto finale in plenaria la settimana prossima. Si eviterà così il ricorso all’esercizio provvisorio che avrebbe “ingessato” la spesa mensile entro il limite invalicabile di un dodicesimo di quella totale dell’anno che sta per concludersi.
“L’obiettivo principale del Parlamento era di ridurre la montagna di fatture non ancora pagate. Non era più possibile – è il commento del liberaldemocratico francese Jean Arthuis, presidente della commissione Bilanci, che ha guidato la delegazione dell’Assemblea di Strasburgo in questo ultimo confronto con quella del Consiglio sulle previsioni di spesa per il 2015 e sul pagamento degli arretrati per l’anno in corso – continuare a fare slittare all’anno successivo, e così all’infinito, il saldo di fatture nei confronti di soggetti che avevano stipulato regolari contratti con la Commissione europea”. Questione oggettivamente drammatica soprattutto per i creditori, che hanno visto incrementarsi i loro debiti già appesantiti dagli effetti di una crisi dalla quale l’Europa non riesce a tirarsi fuori; ma anche per la credibilità stessa della Commissione nel suo ruolo di partner affidabile delle imprese impegnate nella realizzazione di progetti cofinanziati dall’Ue.
Le dimensioni del debito crescente della Commissione, impossibilitata a pagare i creditori in conseguenza del blocco dei fondi, erano ormai enormi. Nel 2010 ammontavano a 5 miliardi, all’inizio di quest’anno erano arrivate a 23,4 miliardi. “Un fardello insostenibile per i soggetti impegnati a lavorare per l’Europa, e in particolare le piccole e medie imprese, le amministrazioni locali, le organizzazioni non governative”, sottolinea la socialista spagnola Eider Guardiazàbal Rubial, relatrice del progetto di bilancio 2015. Che aggiunge: “Anche se i 4,8 miliardi dell’accordo raggiunto sono una cifra considerevole, avremmo voluto di più”.
E il deputato liberaldemocratico belga Gérard Deprez, che ha guidato la delegazione del Parlamento in questo ultimo confronto con quella del Consiglio sulla questione delle fatture non pagate, rincara la dose. “Per ora va bene così. Ma ora vogliamo sapere in che modo la Commissione intende ridurre ulteriormente gli arretrati entro la fine del 2016”. I deputati che per conto dell’Europarlamento hanno negoziato con il Consiglio, infatti, hanno condiviso l’accordo di lunedì sera a condizione però che la Commissione presenti (subito, si deve immaginare) un progetto per ridurre entro due anni “a un livello accettabile” la massa delle fatture non ancora saldate.
“Con l’accordo sul bilancio 2015 e soprattutto sugli emendamenti a quello dell’anno in corso – osserva Giovanni La Via, membro della commissione parlamentare Bilanci, oltre che presidente della commissione Ambiente, Tutela dei consumatori e Sanità pubblica – siamo riusciti a superare l’intransigenza di alcuni Stati membri e a mettere al sicuro i fondi per pagare le fatture relative all’anno in corso. Oltre che a evitare un deficit di bilancio e a venire incontro alle fondate proteste di un numero incalcolabile di beneficiari non pagati”.
“Al termine del negoziato fra Parlamento e Consiglio si può affermare – a giudizio del nostro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – che è stata raggiunta una sorta di quadratura del cerchio grazie al superamento di tre sfide cruciali: il saldo delle fatture arretrate, la tutela degli sforzi degli Stati membri Ue per il consolidamento delle finanze pubbliche, la messa in campo di stimoli indispensabili per creare occupazione e generare crescita per il futuro”.
Sulla questione delle fatture non pagate il confronto fra le due istituzioni europee alle quali il Trattato di Lisbona del 2009 ha assegnato il compito di “co-legiferare” è in atto da tempo. E si è andato trasformando in un vero e proprio braccio di ferro: da una parte l’organo che riunisce i governi dei 28 Stati membri dell’Unione, dall’altra quello dove siedono i rappresentanti, eletti a scrutinio universale diretto, di mezzo miliardo di cittadini europei. Un braccio di ferro inevitabilmente duro soprattutto sulle questioni che comportano ricadute sulla spesa europea (il cui bilancio è pari – val la pena ricordarlo – soltanto all’uno per cento del prodotto interno lordo dei Ventotto). A maggior ragione in un periodo di pesante crisi economico-finanziaria come quello che in Europa non si è ancora concluso.
Il contesto insomma è sempre critico, e minaccia di continuare a esserlo. Poiché la coperta rischia di essere sempre più corta fin quando, di fronte a una spesa crescente, l’ammontare delle entrate rimarrà sostanzialmente stabile (se non in calo per effetto della riduzione del monte-risorse sul quale vanno calcolate le percentuali destinate dagli Stati membri all’Unione europea). La chiave potrebbe essere allora quella di individuare “risorse proprie” dell’Ue: una questione mai risolta alla cui soluzione sta lavorando una commissione, presieduta da Mario Monti, istituita più o meno un anno fa da Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento. E un’ipotesi – sostenuta da alcuni ma avversata da altri – potrebbe essere quella di istituire una tassa europea sulle transazioni finanziarie. Obiettivo, come si può immaginare, non proprio facile da realizzare in un’Europa dove il processo di integrazione avviato oltre mezzo secolo fa si è arrestato a mezza strada e anzi oggi viene messo in discussione da una preoccupante ondata euroscettica che trova sostenitori nei governi e nei Parlamenti nazionali, in quello europeo e in una quota non marginale dei cittadini.