Ubi Banca archivia i primi 9 mesi del 2018 con un utile al netto delle poste non ricorrenti di 260,6 milioni, il miglior risultato degli ultimi 10 anni e in netta crescita rispetto ai 167,3 milioni registrati nello stesso periodo dell’anno scorso.
L’utile netto contabile, invece, è salito su base annua da 86,2 milioni (al netto di 616,2 milioni di capital gain derivante dall’acquisizione delle 3 banche) a 210,5 milioni.
Ubi, nel terzo trimestre 2018, ha registrato un margine di intermediazione pari a 808 milioni, a fronte degli 824 milioni stimati dal consensus. Il periodo si è chiuso con un utile netto di 1,6 milioni, mentre gli analisti si attendevano una leggera perdita di 3 milioni.
Sul fronte patrimoniale, al 30 settembre il CET1 fully loaded era all’11,42%, invariato rispetto a giugno 2018, nonostante l’impatto dell’ulteriore allargamento degli spread sulla riserva di valutazione dei titoli in portafoglio (il dato non include utilizzi di DTA future e include pro-quota l’ipotesi di un dividendo).
In seguito alla vendita delle sofferenze cartolarizzate e dell’attività di recupero, i crediti deteriorati lordi si riducono di circa 1.517 milioni3 rispetto al 30 giugno 2018 e di 1.922 milioni rispetto al primo gennaio.
“È evidente che, se da un lato gli stress test dimostrano che siamo tra le banche meno impattate in un contesto di stress e questo è un fatto che evidentemente ci fa molto piacere – commenta Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi Banca – dall’altro lato è oggettivo che la dimensione dei coefficienti patrimoniali in Europa diventa sempre più elevata e quindi che il concentrarsi su un ulteriore arricchimento dei nostri coefficienti patrimoniali deve essere, ed è sempre stato, parte della nostra strategia. Ubi ha una riserva di Dta (deferred tax asset – vantaggi fiscali differiti) che ammonta a circa ottocento milioni, che sono tutti da sfruttare, e che sostanzialmente faranno parte della nostra strategia per il prossimo periodo”.