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Tv, il lockdown fa esplodere lo streaming (+52%)

Secondo una ricerca di Sensemaker, i mesi trascorsi in casa per effetto del Covid hanno fatto crescere del 52% la tv in streaming – Dati impietosi per la tv tradizionale – Il pubblico preferisce confezionarsi il palinsesto da solo

Tv, il lockdown fa esplodere lo streaming (+52%)

Il 2021 potrebbe essere un anno cruciale per il mercato degli audiovisivi sia per l’entrata in vigore delle disposizioni comunitarie sulla transizione al digitale di seconda generazione (DVB-T2) sia per lo sviluppo impetuoso della fruizione di televisione attraverso la rete.  

Giovedì è stato pubblicato un nuovo report di Sensemaker (società specializzata in marketing digitale) realizzato utilizzando dati tratti da Auditel, standard e digitale, Audicence Analytics di Comscore ai quali sono stati affiancati altri dati provenienti da una ricerca realizzata appositamente sui grandi consumatori di video in tutte le modalità e con tutti i device, sia quelli solitamente connessi alle piattaforme gratuite, sia a quelle in abbonamento. Obiettivo della ricerca è stato la “misurazione“ del consumo di video durante i mesi trascorsi in casa obbligati dalla pandemia. Dunque, per certi aspetti, una fotografia di fenomeni in qualche modo indotti da circostanze eccezionali e che, comunque, evidenziano tendenze in corso già dagli anni precedenti.

Vediamo anzitutto i dati più indicativi. La televisione non lineare, lo streaming, è cresciuta oltre il 52 % rispetto a quella lineare, tradizionale (digitale terrestre e satellitare) che invece si attesta intorno all’11% rispetto all’anno precedente. Significa, semplicemente, che di fronte alla scelta di “subire” la proposta dei broadcasters generalisti, il pubblico preferisce “confezionarsi” il proprio palinsesto, con le sue misure di tempo e di spazio dedicato al consumo di video. Questo il dato più rilevante e che conferma la tendenza già da tempo evidenziata con lo sviluppo impetuoso delle piattaforme SVOD (Subscription Video on Demand) e il conseguente successo di Netflix, DiscoveryPlus, DisneyPlus etc. Interessante poi osservare un altro dato indicativo: rispetto all’anno precedente è enormemente cresciuto il numero delle visualizzazioni off line e il numero di ore trascorse davanti a un video (Auditel ne elenca sei tipologie: Tv, smart Tv, smartphone, computer, game consolle e tablet) che si attesta a oltre il 136%  rispetto all’anno precedente. 

Sono dati impietosi per la televisione tradizionale che minacciano fortemente la sua tenuta sul mercato. La transizione tecnologica di un apparato di ricezione, il televisore classico di casa, il moderno “focolare” della famiglia riunita in salotto a vedere il festival di Sanremo, potrebbe essere un modello destinato ad una rapida estinzione. La BBC ha stimato che questo possa avvenire entro la fine del decennio. La stessa definizione terminologica potrebbe non essere più adeguata: oggi difficile parlare di “televisore” quando ormai nelle abitazioni è sempre più diffusa la presenza di “smart Tv” cioè televisori collegati alla rete attraverso la quale si “possono fare” molte più cose rispetto al televisore tradizionale. Ma non si tratta solo di precisazione terminologica: per la Rai rappresenta una seria minaccia ad uno dei pilastri della sua sopravvivenza. È noto, infatti, che secondo quanto esplicitamente affermato con una disposizione ministeriale del 2016 si intende per  “televisore” un apparecchio “ … in grado di ricevere, decodificare e visualizzare il segnale digitale terrestre e satellitare direttamente o tramite decoder o sintonizzatore esterno”. Il che potrebbe significare, semplicemente, che se il proprietario di un device quale che esso sia non è provvisto di un sintonizzatore può essere esentato dal pagamento del canone. Non è cosa da poco conto. 

Torniamo ai numeri della ricerca proposta da Sensemaker: l’operatore che ha registrato il maggior numero di visualizzazioni in termini di quota mercato è stato Sky con il 47% del totale, seguito da Mediaset con il 36% e infine da Rai con il 12%. Per quanto riguarda invece il tempo speso di fronte ai device i rapporti si modificano: in testa Mediaset con il 38%, segue RAI con il 32% e infine Sky con il 25%. Altri dati interessanti si riferiscono ai contenuti preferiti dai telespettatori: la maggioranza, con oltre il 50%, gradisce film e fiction e, più in generale contenuti cosidetti “Full Content” (in altre parole pacchetti completi di contenuti: una puntata integrale di un reality show come pure una puntata di fiction) che crescono di oltre i 236% nel periodo di rilevazione giugno-dicembre 2020 rispetto al 2019.  

La transizione in corso dalla televisione lineare a quella non lineare, dalla diffusione generalista a quella parcellizzata indirizzata sempre più a “pubblici “ differenziati dunque è in pieno svolgimento. Come abbiamo accennato prima, i dati riportati da questa rilevazione si riferiscono a condizioni determinate teoricamente anomale rispetto a quella precedenti la pandemia. Tuttavia non solo non smentiscono quanto già era noto in precedenza ma anzi imprimono una accelerazione al fenomeno del tutto imprevista e imprevedibile.

La ricerca ha un grande pregio:  evidenzia ora con maggiore chiarezza il crocevia della competizione che si trova esattamente tra la qualità/quantità dei contenuti proposti e le modalità di fruizione degli stessi rispetto a quanto gli utenti sono disposti a pagare. Dunque un mix tra prodotti, tecnologie e costi rilevati e crescenti, sia dal punto di vista degli utenti, sia dal punto di vista dei fornitori. Per i broadcasters tradizionali reggere la competizione non sarà facile: il mercato è grande ma non infinito e presto potrebbe avere solo posti in piedi. Potranno sopravvivere non tanto i più forti ma i più veloci ad adeguarsi al mutamento che questa ricerca ha evidenziato chiaramente.

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