Ieri sera un amico straniero che vive da molti anni a Roma, sa l’italiano, legge i giornali e guarda la TV, mi ha fatto la più semplice delle domande: “Come mai i partiti che hanno più probabilità di vincere le elezioni sono a favore di un governo di emergenza, ed invece i partiti che hanno finora governato male e che potrebbero essere severamente puniti dalle urne, vogliono invece andare a votare subito?” Già, perché?
Sembra la più semplice delle domande, ed invece per rispondere bisogna andare a scavare nel carattere degli italiani, nelle vecchie abitudini politiche ed ideologiche che sono difficili da mettere da parte, nei vizi della nostra rappresentanza politica, nella storia di questo Paese e nel senso dello Stato che manca.
Volendo tentare una spiegazione più semplice si può affermare in prima approssimazione che la ragione sta nel fatto che la sinistra è divisa, in parte schiava di vecchi schemi ideologici che non portano da nessuna parte, e che quindi non si fida di se stessa. Ed anche il presidente Napolitano, che li conosce bene, sa perfettamente che la sinistra da sola non potrebbe prendere i provvedimenti che, nella fase attuale, servono per rimettere in linea di galleggiamento la nave Italia.
La desta, invece di essere liberale è populista, e soprattutto è oggi sotto shock per il fallimento del proprio Governo e teme che senza la forza di coesione indotta dalla campagna elettorale, il partito possa frantumarsi in mille pezzi. La Lega poi, secondo la vecchia logica di stare all’opposizione per raccogliere tutti gli scontenti che comunque ci sono e ci saranno, ha colto l’occasione per dire no al Governo tecnico e collocarsi nella comoda posizione di chi non si assume alcuna responsabilità nei confronti dei sacrifici che si dovranno fare.
La Lega, che con i suoi veti sull’abolizione delle Province e sulla riforma delle pensioni è la principale responsabile dell’aggravarsi della situazione italiana, e quindi della caduta del Governo Berlusconi, rischia però di condannarsi alla marginalizzazione ed alla irrilevanza. I cittadini del Nord capiscono bene che oggi è necessaria una tregua politica per fronteggiare la crisi e che chiamarsi fuori può voler dire non essere più legittimati a fare politica.
Ma questo riguarda più le tattiche politiche che i fenomeni di fondo che spiegano l’anomalia italiana dove tanti gruppi e corporazioni sono dotati di potere di veto ma non esiste un gruppo di cittadini abbastanza ampio e coeso da imporre vere riforme. La risposta c’è. Non è piacevole, però si avvicina alla verità: i politici possono approfittarsi spudoratamente del loro potere senza provocare l’indignazione (se non a parole) dei cittadini, perché gran parte degli italiani sono “collusi” con l’attuale sistema, cioè hanno avuto o sperano di avere dal sistema politico piccoli o grandi favori e quindi tollerano i soprusi che i politici praticano nell’esercizio del loro potere. E questo è un sistema che tocca sia la destra che la sinistra dove ad esempio la Cgil (che spinge per le elezioni subito) vuole salvaguardare la propria base di potere più che fare veramente gli interessi del mondo del lavoro.
Ma è proprio questo patto scellerato tra elettori e partiti che ha condotto ad accumulare l’enorme debito pubblico che ci ha spinto sull’orlo della bancarotta. E nessuno ha la forza di rompere questo patto, di fare da solo la prima mossa, temendo di essere penalizzato dalla massa della propria clientela che si troverebbe abbandonata a se stessa, privata dalle promesse e dalle speranze di trovare una “sistemazione”. Per questo ci vuole un Governo di unità nazionale, presieduto da una personalità che gode di prestigio internazionale e senza particolari ambizioni politiche, capace di attaccare i vecchi vizi italiani un po’ da tutti i lati, scontentando tutti, ma con equità.
Sempre ieri sera Lilli Gruber chiedeva insistentemente ai suoi ospiti (l’economista Gross e il giornalista Beppe Severgnini) per quale ragione i cittadini italiani non si ribellano ai soprusi della politica, perché non chiedono il cambiamento, perché non pretendono veramente un taglio dei privilegi della “casta”. Tutti hanno tirato in ballo antiche tare culturali, una sfiducia atavica verso le pubbliche istituzioni, ma nessuno è arrivato a mettere a fuoco il fatto che gli italiani dipendono per larga parte dai favori o dalla protezione del sistema politico.
E questo perché l’economia italiana è largamente pubblica. Le spese statali sono ormai arrivate al 50% del Pil. Se a questa massa di denaro controllato comunque dai politici, si aggiungono tutte le aziende pubbliche statali (Enel, Ini, ecc.) comunali e regionali (A2A, Acea, ecc) si può calcolare che la percentuale di Pil controllato dalla politica potrebbe raggiungere il 70%, ed in certe regioni del Sud, molto di più.
I politici distribuiscono posti negli ospedali, nei consigli di amministrazione, fino ad arrivare agli impiegati ed alle segretarie. Come ha fatto il sindaco di Roma, Alemanno, che ha imbarcato 800 persone nell’azienda di trasporti, l’Atac, incurante del fatto che si tratta di un’azienda sull’orlo del fallimento. I politici manovrano grandi clientele perché controllano gran parte delle risorse nazionali ed i cittadini che vogliono avere un futuro per loro e per i propri figli non possono che accettare di diventare clienti di qualche boss politico.
Come si può interrompere questa spirale perversa? L’unico modo è ridurre il peso dell’intermediazione parassitaria delle risorse nazionali da parte della politica. Quindi privatizzare al massimo tutte le società pubbliche, tagliare le spese pubbliche a cominciare da quelle discrezionali tipo incentivi alle imprese, che servono solo a distribuire mance senza alcun effetto sullo sviluppo,eliminare i privilegi di cui godono tante corporazioni.
Infine, ridurre il numero dei politici, non tanto le loro retribuzioni come oggi va di moda, ma proprio la quantità di gente che vedendo nella politica un lucroso affare la sceglie non per passione, ma per carriera. Riuscirà Mario Monti ha compiere il doppio miracolo di salvare il paese dallo spettro della bancarotta ed insieme liberare il sistema dalla cappa del potere politico che ne impedisce lo sviluppo? Ce lo auguriamo.