A Roma una volta nella vita, a Londra una volta l’anno”, una massima che il nostro Paese deve assolutamente sovvertire. Il turismo italiano è tornato a crescere, con flussi internazionali in salita e spesa media in aumento. Il settore vale il 5% del PIL e oltre il 6% degli occupati del Paese. Nonostante ciò, gli squilibri tra una parte e l’altra del Paese rimangono molto alti e, anche se non abbiamo rivali nell’intercettare coloro che viaggiano spinti da un forte interesse per l’arte e la cultura, continuiamo ad essere carenti nello sviluppo di segmenti ad alto valore aggiunto come il turismo congressuale e fieristico.
Questi i dati principali contenuti nel rapporto “Turismo in Italia. Numeri e potenziale di sviluppo” presentato l’11 dicembre a Roma da Bankitalia. Il report sottolinea come l’Italia sia tra i paesi “di più antica vocazione turistica”, con un patrimonio artistico e naturale senza eguali: basti pensare che con 54 su 1.092 siti Unesco totali, il nostro è il primo Paese per luoghi riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Per anni però questo tesoro non è stato sfruttato e ancora oggi il quadro presenta tinte in chiaroscuro.
Dopo una “crisi” durata per quasi un ventennio, dal 2010 il settore turistico italiano ha cominciato a recuperare terreno, in parte grazie al miglioramento della competitività di prezzo e alle tensioni geopolitiche (che in alcuni casi sono sfociate in minacce di attacchi terroristici) che hanno favorito una deviazione dei flussi verso l’Italia. “Dal 2011 – ha spiegato Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia – le entrate turistiche internazionali sono tornate a crescere a ritmi sostenuti, di oltre il 30% fino al 2017. Il divario con la domanda si è assottigliato, generando una perdita rispetto ai guadagni potenziali di circa 1,5 miliardi all’anno in media”.
La spesa degli stranieri è tornata ad aumentare con percentuali di tutto rispetto: “4,3 per cento all’anno in media a fronte dello 0,8 del decennio precedente”. Nonostante ciò il divario di crescita rispetto alla domanda potenziale di servizi turistici è rimasto negativo a causa della poca attenzione alla pianificazione strategica, dell’incapacità di promuovere l’immagine del Paese e dei bassi investimenti pubblici sul settore. Su anche il saldo relativo ai viaggi della bilancia dei pagamenti, arrivato nel 2017 allo 0,9%.
I dati positivi dunque ci sono, ma dietro ad essi si nascondono degli squilibri tutt’altro che secondari relativi soprattutto alla qualità e alla distribuzione del turismo nel nostro Paese.
PERCHÉ GLI STRANIERI VENGONO IN ITALIA
Dal 2010 al 2017 i turisti stranieri hanno ritrovato interesse per le vacanze in Italia, diventata tra le mete preferite dai viaggiatori per vacanze culturali (+9% annuo). In riduzione invece i viaggi d’affari, i più remunerativi in assoluto, diminuiti sulla quota totale dal 22 al 14%.
Ma da dove vengono i turisti stranieri che hanno riscoperto l’amore per il nostro Paese? La maggior parte da nazioni fuori dall’Ue (41,5% nel 2017). La crescita maggiore ha interessato i viaggiatori provenienti da Usa, Canada, Australia, Giappone e Cina. Da sottolineare che, negli ultimi tre mesi anche il turismo domestico ha registrato segnali incoraggianti.
DOVE VANNO I TURISTI STRANIERI
In generale, chi viene nel nostro Paese lo fa per periodi brevi (tre giorni e mezzo di media) e si concentra in determinate zone. Basti pensare che i primi 20 musei italiani raccolgono da soli oltre il 30% delle visite annuali delle 5mila strutture museali italiane.
Lo studio di Bankitalia sottolinea non a caso che la spesa turistica si distribuisce sul territorio a macchia di leopardo. Nel dettaglio, Nord Est e Centro intercettano gran parte dei flussi spinti dalla presenza di Roma, Firenze e Venezia, con un’incidenza della spesa degli stranieri salita nel 2017 rispettivamente al 27 e al 33 per cento. Il Nord Ovest di recente si è rafforzato, arrivando al 25 per cento della spesa grazie ai grandi eventi ospitati da Milano e Torino.
Molto più indietro il Mezzogiorno. “Sebbene l’area rappresenti il 78 per cento delle coste italiane, ospiti i tre quarti del territorio appartenente a Parchi nazionali e accolga più della metà dei siti archeologici e quasi un quarto dei musei – evidenzia Bankitalia – nel 2017 la spesa degli stranieri nel Mezzogiorno era pari ad appena il 15 per cento del totale”.
Al sottodimensionamento del Mezzogiorno si oppone poi il preoccupante fenomeno del sovraturismo, che in città come Venezia, Firenze e Roma, crea problemi seri relativi alla salvaguardia del patrimonio artistico.
LE POLITICHE PER IL TURISMO
La riforma dei musei statali varata nel 2014 è per Bankitalia un esempio positivo volto a “potenziare le capacità delle strutture museali di promuovere e valorizzare il patrimonio artistico”, accrescendo anche la soddisfazione dei visitatori. In questo contesto però occorre fare di più, varando strategie politiche volte a migliorare la dotazione di capitale umano impiegato (il livello di istruzione dei lavoratori e dei manager è più più basso della media europea) e a sopperire alla carenza di infrastrutture di trasporto, fondamentali per dare una spinta decisiva al turismo. Occorre inoltre superare il dualismo Stato – Regioni, squilibrato verso queste ultime, nella gestione del settore, definendo un rapporto chiaro volto a creare una politica pubblica di sviluppo.
“La piena valorizzazione delle risorse turistiche dell’Italia richiede che l’impegno degli operatori sia sostenuto da adeguate politiche sia di settore sia trasversali. È una condizione essenziale per il successo di un comparto le cui sorti sono legate strettamente alla qualità dei servizi pubblici e all’efficienza di strutture fisiche e immateriali”, ha affermato Panetta, puntando l’attenzione soprattutto sull’implementazione delle tecnologie digitali.
IL CASO AIRBNB
Lo sbarco nel nostro Paese di Airbnb ha aumentato la concorrenza, ha favorito la penetrazione delle tecnologie digitali e ha accelerato l’effetto “di ricomposizione dell’offerta alberghiera verso le strutture più qualificate”. In generale l’impatto sui tre stelle, sotto il punto di vista di fatturato e redditività, è stato limitato ma positivo “riflettendo soprattutto una maggiore intensità del processo di selezione che ha consentito alle imprese migliori di sopravvivere”, si legge nel report.
Nel corso della presentazione dell’analisi non sono però mancati i momenti di tensione tra Matteo Frigerio, country manager per l’Italia di Airbnb e Alessandro Massimo Nucara, direttore generale di Federalberghi. Quest’ultimo infatti non ha mancato di sottolineare come nel mercato ci siano 500-600 milioni in nero, con una massiccia presenza di abusivi che, a causa degli scarsi controlli cui sono soggetti, generano concorrenza sleale sul mercato, a danno degli albergatori.