I numeri delle 48 ore dopo il mini-golpe in Turchia, gestito da una parte minoritaria e male organizzata dell’esercito, hanno visto oltre 1.400 feriti, 290 morti, 6mila persone arrestate, (tra i quali 3000 tra giudici, magistrati o senior manager del sistema giudiziario), 85mila moschee del Paese operare una vera e propria chiamata alle armi nel momento della preghiera settimanale tramite gli altoparlanti e da parte dei mufti. Sono fatti che disegnano un accadimento la cui reazione pare evidentemente già ben pianificata per dimensioni e tempistiche.
La Banca Centrale ha immediatamente varato misure straordinarie di liquidità illimitata alle banche e sostegno agli scossoni valutari ai quali si andrà inevitabilmente incontro con una lira turca che già nei preliminari si porta a ridosso di quota 3 contro il dollaro usa, verso i massimi dell’anno.
Il regime autoritario di Erdogan ha così ottenuto una serie di risultati estremamente importanti:
– mantenere saldo il potere ottenendo l’inevitabile sostegno delle opposizioni che altrimenti sarebbero state tacciate di anti patriottismo;
– un bagno di “real politik” da parte di Ue e Usa, che, gli uni per la questione immigrati e gli altri per le basi aeree, hanno dovuto fare dichiarazioni a sostegno del Governo;
– indebolire ulteriormente l’esercito evitando ulteriori frizioni negli ambigui rapporti con l’Is;
– spianare la strada ad un consolidamento dei rapporti con i Fratelli Musulmani cacciati in malo modo dall’Egitto;
– ridimensionare la minaccia di infiltrazioni del movimento clericale mistico di Fethullah Gulen nell’esercito e nella politica con un’astuta richiesta di estradizione agli Usa;
– preparare la popolazione ad una modifica della Costituzione sulla strada già tracciata di un islamismo radicale e di un potere assoluto nelle mani di Erdogan.
Un bel bottino di guerra che non modifica la condotta sin qui seguita nell’ultimo biennio, fatta di repressione degli organi/media di opposizione, controllo delle reti internet e digitali e misure restrittive su tutte le minoranze sociali e religiosi presenti sul territorio. Gli effetti degli eventi di questi giorni e la cruenta vendetta del Sultano ci fanno ricadere a rimembranze ottomane esattamente come le livree da parata delle guardie del palazzo di Erdogan e sicuramente faranno riflettere investitori e imprenditori.
Un potere forte aiuta gli affari, mentre il rischio latente di una guerra civile mette in serio rischio la gestione di attività di business di respiro internazionale. Quindi un indebolimento della divisa per quanto difesa dalla Banca Centrale, un crollo ulteriore dei flussi turistici, (nonostante le scuse ufficiali alla Russia per il jet abbattuto in cambio dello sblocco dei visti turistici), e una fuga di capitali esteri dal Paese è il minimo che ci si può attendere in questa fase. E per quanto le case di rating potranno girare la testa dall’altra parte come hanno fatto per troppo tempo sul Medio Oriente sarà ben difficile per il governo Erdogan contenere inflazione e deficit ed avviare un nuovo piano di riforme quando metà della popolazione preferisce parlare del “tempo che fa” per evitare delazioni, intercettazioni e ritorsioni di vario tipo.
A fine maggio le riserve valutarie ammontavano a 116 miliardi di dollari Usa con un calo del 9% della parte relativa alle riserve in oro, scese a 18,1 miliardi di dollari. Un cuscinetto non troppo abbondante a ben vedere e che sarà strettamente monitorato dagli analisti anche se ultimamente alcuni dati economici son già stati messi in dubbio per l’attendibilità. Visto che già il primo semestre ha visto un calo del 50% dei flussi d’investimento diretti netti dall’estero, penso che questo trend inevitabilmente peggiorerà.
La Turchia è un Paese spaccato a metà tra pro e contro Erdogan, ora attonito e smarrito che sta vedendo le immagini onnipresenti del padre della patria Ataturk sostituite da quelle di Erdogan e il ruolo secolare e garantista dell’esercito ormai inesistente. E contemporaneamente le istituzioni democratiche e l’ordine costituzionale minacciato in ogni caso. Un golpe vincente avrebbe scatenato le folle adoranti dell’Anatolia legate alla parte religiosa e conservativa dell’Akp e sarebbe stato più disastroso.
Tra gli effetti della Brexit e questa nuova tegola ora l’Unione Europea, orfana di una politica estera comune, si trova di fronte alla scelta tra sospendere gli effetti economici dell’accordo con la Turchia sugli immigrati e fronteggiare una nuova ondata di pressione sui suoi confini meridionali (soprattutto quelli greci e italici) oppure finanziare un regime che è sempre più lontano da quei principi fondativi europei e che mai come adesso diventa un alleato scomodo e un vicino ingestibile.
Il Governatore della Banca Centrale ha negato il ricorso a controlli sui capitali e/o nuove elezioni anticipate e probabilmente solo una strategia comune tra Ue e Usa eviterà la deriva di un Paese cuscinetto fortemente strategico per l’Occidente, un’ipotesi con carattere di urgenza nell’imminenza della tornata elettorale Usa e che ne cambia i toni del dibattito da ora in avanti.