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Turchia, perchè la spallata anti-Erdogan non c’è stata e perchè l’ago della bilancia Ogan pende dalla parte del Sultano

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Erdogan è stato “costretto” al ballottaggio? O invece nemmeno stavolta l’opposizione unita è riuscita a battere il “Sultano”, nonostante fosse apparsa la più forte di sempre? È questione di punti di punti di vista, ma, quello che è certo, è che in Turchia, la spallata, che tutto il mondo si aspettava (e in parte sperava) contro il presidente in carica, non c’è stata: è finita con il 49% dei voti a Erdogan e il 45% a Kiliçdaroglu.

Ora si dovrà attendere ancora 15 giorni, fino al 28 maggio, prima di capire se la Turchia sarà ancora governata da Erdogan, perché avrà vinto la “continuità”; o sarà guidata da Kiliçdaroglu, l’ultimo erede del partito di Ataturk, fondatore del Repubblica, che proprio quest’anno compie cento anni.

Ne parliamo con Valeria Giannotta, analista di grande equilibrio e competenza, direttrice scientifica all’Osservatorio Turchia per il Cespi, importante centro studi di politica estera, autrice di libri e pubblicazioni su uno dei paesi principali del Medioriente.

Valeria Giannotta, lei si trova ad Ankara, dove ha seguito l’andamento del voto: se l’aspettava questo risultato? 

“In realtà era molto verosimile che si sarebbe andati al ballottaggio, ma, francamente, molti aspettavano un testa a testa più serrato. Ad un certo punto era parso che Erdogan avesse la maggioranza, poi gradualmente il suo voto è andato a scemare. I seguaci del presidente confidavano nella diaspora turca all’estero che, pur avendo premiato Erdogan con il 50% dei voti, non è stata sufficiente a colmare il gap, pur se esso superato le aspettative degli “erdoganisti”, soprattutto visto il clima che si respirava in Turchia negli ultimi giorni. Un clima festoso da parte dell’opposizione che sabato sera era quasi sicura di farcela al primo turno. Da parte loro, quindi, c’è sicuramente una sorta di delusione, mentre da parte della coalizione di Erdogan un respiro di sollievo”.

È rimasta impressionata per la partecipazione al voto?

“Sì, l’89% è impressionante anche per lo standard della Turchia che, comunque, ha sempre avuto un alto tasso di partecipazione alle urne. In realtà queste elezioni erano molto sentite perché sono state vissute come un referendum: pro o contro Erdogan; ma, soprattutto, pro o contro la continuità, pro o contro un cambio di regime. La sfida è stata molto dura e sofferta per il presidente in carica. La sua popolarità era in caduta libera dopo il terremoto del 7 febbraio, molti lo hanno criticato per non essersi mosso adeguatamente dopo i primi giorni. Alla fine, però, proprio le zone colpite dal terremoto hanno scelto di votarlo, non solo perché sono regioni tradizionalmente conservatrici, ma, anche perché, probabilmente, hanno voluto premiare il presidente per lo scatto successivo e la velocità nella consegna dei primi alloggi alle popolazioni colpite”.

Come si sono svolte le elezioni?

“In maniera ordinata e senza problemi. Nonostante i timori della vigilia. Io sono uscita dagli studi televisivi alle 5 del mattino e Ankara era perfettamente tranquilla. Ha contato molto che entrambi i leader abbiano invitato i loro supporter a non manifestare in piazza”.

Cosa accadrà ora?

“Ovviamente la partita è ancora aperta, ma, se il quadro resta questo, ci sono dei margini molto ampi per ritenere che Erdogan ce la farà, perché il primo scoglio era di battere l’alleanza dei Sei, e ci è riuscito. Ora si attende di capire cosa faranno i leader che sono usciti dalla scena. Un ruolo importante lo avrà il quarto candidato, quello che si è ritirato a tre giorni dal voto. Parlo del capo del Partito della madrepatria, Muharrem Ince, un politico controverso. Arriva dalle fila del CHP (ndr il partito di Kiliçdaroglu), è stato il principale candidato dell’opposizione nel 2018, battuto nelle urne da Erdogan. Poi ha tentato di scalzare Kiliçdaroglu ai vertici del partito, e non essendoci riuscito, in segno di protesta se ne è andato e ne ha costituito un altro, il suo. Oggi questo partito è quotato attorno al 3%, percentuale che, dopo il suo ritiro dalle presidenziali, si pensa sia confluito sul partito di Erdogan. È probabile che continui su questa strada”.

E poi c’è il terzo incomodo, Sinag Ogan…

“È il grande vincitore di questa prima tornata, il quarto candidato, arrivato terzo, con il 5% dei voti. Ogan è ai vertici di un’alleanza, detta Alleanza Ancestrale, dalle istanze profondamente nazionaliste, nato dall’NHP, partito nazionalista, oggi alleato di Erdogan. Dall’inizio dello spoglio sino alla fine, è rimasto stabile sul 5/5,2%. La grande questione oggi, se guardiamo al futuro, al ballottaggio è: a chi andranno questi voti? A Erdogan o a Kiliçdaroglu? Anche se quello che Ogan ha detto dopo il voto, toglie ogni speranza a Kiliçdaroglu, perché egli ha dichiarato che potrebbe sostenerlo solo a condizione che attui una chiusura politica nei confronti dei curdi. Cosa impossibile da praticare per il leader dell’opposizione perché, per la prima volta nella storia della Turchia, i curdi hanno scelto di votare un candidato, Kiliçdaroglu appunto, che non è espressione dei loro partiti, e addirittura rappresentate di quel kemalismo da sempre nemico dei curdi. Tanto per fare un esempio, nell’area di Diyarbakir, principale città curda dell’Anatolia, Kiliçdaroglu ha preso il 70% dei voti. Si capisce da questo che l’opzione di Sinag Ogan è impraticabile per il leader delle opposizioni. E che quindi il suo 5% potrebbe aggiungersi ai voti già conquistati da Erdogan”.

Che cosa ha penalizzato l’opposizione nella prima tornata elettorale?

“A mio parere, intanto, l’incertezza del futuro della coalizione. I “Sei” si sono posti come il “rinnovamento” e hanno potuto fare solo promesse, laddove Erdogan ha portato sul tavolo questioni sostanziali, risultati già raggiunti. Credo, tuttavia, che, ovunque, e quindi anche in Turchia, vada distinto il votare “per chi” e il votare “per che cosa”. In Turchia il “per chi” è facile, si vota per il leader forte. E Kiliçdaroglu non è un leader forte visto da Ankara. Il “Gandhi turco” è roba per occidentali. Si presenta sicuramente come un leader più moderato nei toni rispetto a Erdogan, ma ha fatto la campagna elettorale facendosi riprendere in cucina, mentre cucinava o preparava il tè, intendendo far passare il messaggio: “sono uno di voi”. Ma questo per un buon 50% degli uomini turchi e delle donne turche, non è riconosciuto come valore importante, preferiscono qualcuno “diverso e più potente” di loro. Kiliçdaroglu ha anche sdoganato la questione identitaria, sottolineando il fatto che lui è alevita di origine curda. Ha scardinato un tabù, non c’è che dire, perché mai finora l’elemento di appartenenza a una parte dell’islam era stato utilizzato in campagna elettorale; però ciò ha offerto la possibilità a Erdogan di cavalcare lo stesso tema delle identità, avendo facile gioco nel lanciare l’allarme della rottura della comunità islamica. E poi ha giocato a sfavore di Kiliçdaroglu anche il fatto che era a capo di una coalizione molto frammentata. Il dubbio è stato: se sarà lui il presidente, con un governo del genere, quanta stabilità, quanta lotta di potere si creerà?”

E c’è chi aggiunge anche la questione dei profughi siriani, lei crede che abbia pesato?

“Io penso di sì. Kiliçdaroglu ha dichiarato che avrebbe rimpatriato i rifugiati siriani. Sono 4 milioni in Turchia, di cui circa 200 mila hanno ottenuto il diritto di voto. Non è difficile immaginare che, in segno di riconoscimento, la maggioranza di essi abbia votato per Erdogan, che li ha accolti a partire dal 2011”.

Cosa dobbiamo aspettarci infine?

“Siamo in una situazione di stallo in cui le principali questioni restano sul tavolo: economia in primis, con l’inflazione alle stelle e la caduta della moneta; le questioni identitarie, quelle religiose, l’interpretazione nazionalista della politica, visto il successo di uno dei principali alleati di Erdogan. Io direi che quella di ieri è stata una sfida che anche i supporter di Erdogan non erano così sicuri di poter vincere. Ora la campagna elettorale diventerà ancora più serrata e potrà riservare sorprese. Ma se le cose dovessero rimanere così come le abbiamo descritte, ripeto, è molto probabile che Erdogan vincerà, e anche abbastanza agevolmente”.

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