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Turchia, il piano di Erdogan per la conquista del Mediterraneo

Imagoeconomica

Mentre nel mondo crescono i timori di una seconda ondata del Covid-19, la Turchia è concentrata su qualcosa di molto più importante: la conquista del Mediterraneo.

Il sogno dell’espansione dell’Impero Ottomano via terra ha prodotto le incursioni in Siria e le dispute sui territori curdi, mentre le mire turche sul mare hanno causato gli scontri di dicembre con Cipro per il controverso accordo firmato da Ankara con la Libia. Nascosto nelle pieghe di un presunto corridoio di sicurezza ed assistenza fra Turchia e Libia, si cela il disegno di una vera e propria “autostrada” a controllo turco per replicare quanto già sperimentato nella Zona Economica Esclusiva (Exclusive Economic Zone, Eez) in acque cipriote. Non a caso, ai primi di dicembre, forze navali greche erano state inviate per far desistere la Turchia dal ricercare fonti energetiche in mare, tanto che il ministro della Difesa greco aveva minacciato di esercitare il diritto all’autodifesa ad ogni costo.

Un disegno espansionistico di questa portata non nasce per caso: si tratta di un progetto studiato nel tempo, che fin dal giugno di 14 anni fa ha trovato eco nei proclami del suo più acceso sostenitore, l’ammiraglio ultranazionalista Gurdeniz. Una volta fissate le basi militari in Qatar e Somalia ed aver reso operativa una base navale in Sudan, ora l’obiettivo è estendere il piano – anche grazie all’accordo libico – fino a creare una frontiera marittima con l’Egitto, approfittando dell’assenza di un confine marittimo tra Grecia e Cipro.

Le esercitazioni navali turche del febbraio 2019 erano soprannominate “Mavi Vatan”, o “Blue Homeland”, riprendendo le parole di Gurdeniz (che sono state anche pubblicate in un corposo libro). Dopo di che, lo scorso settembre il presidente Erdogan ha proclamato il successo delle manovre effettuate a dicembre 2018, che – a detta del Sultano – hanno provato la forza di reazione della flotta militare turca, capace di gestire un eventuale conflitto su più fronti: dal Mediterraneo Orientale all’Egeo, passando per il Mar Nero. Una dichiarazione che aveva due obiettivi: dimostrare quanto la Turchia contribuisca alla stabilità dell’accordo Nato e preparare il terreno per l’imminente memorandum tra Libia e Turchia.

L’Unione Europea ha dato già una prima risposta a questa provocazione rigettando il memorandum e confermando il sostegno alla Grecia e a Cipro, coinvolti dalla disputa marittima. In 45 anni di controversia egea lungo il 25esimo meridiano, senza esclusione di colpi, ogni volta che una Corte rigettava la speranza turca di un riconoscimento dell’estensione dei propri confini marittimi, basandola sull’assenza di confini tra Grecia e Cipro, la stessa Turchia firmava accordi parziali (come quelli con Bulgaria, Romania e Russia), tracciando i limiti di nuove Zone Economiche Esclusive (EEZ). Dal 7 dicembre, però, il memorandum d’intesa firmato da Erdogan con il capo del Governo di Accordo Nazionale della Libia, Fayez al-Serray, sfida ufficialmente le regole del diritto internazionale. L’accordo stabilisce infatti i confini dell’ennesima zona economica esclusiva (EEZ) tra Turchia e Libia, che però stavolta non ha come scopo solo la sicurezza, ma anche la ricerca e la gestione di risorse energetiche nella zona.

Intanto, secondo quanto pubblicato dall’Osservatorio Nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), centinaia di combattenti non siriani operanti nelle file jihadiste, uniti con combattenti uiguri cinesi dello Xiniang (detto anche Turkestan), si sono trasferiti in campi d’addestramento turchi con destinazione finale la Libia per sostenere le forze del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli (la notizia è confermata anche da fonti del quotidiano arabo al-Arabya). L’esercito turco ha poi completato lo schieramento di milizie nel nord ovest siriano dopo la tregua a Idlib. Con il piano “Patria Blu”, Ankara punta evidentemente a bloccare sul nascere Cipro, Egitto, Grecia e Israele, che vorrebbero organizzare una linea di trasporto e commercio del Gas senza fare i conti prima con i turchi.

Dal primo luglio comincia il semestre di Presidenza tedesco dell’Unione Europea e le speranze di una conciliazione dei Paesi europei sul Recovery Fund non mancano. Chissà se ci sarà spazio anche per la politica estera: ben presto le questioni del Mediterraneo potrebbero tornare centrali per il nostro Paese, che a giugno 2020 ha cambiato campo, schierandosi a fianco dei greci per arginare le mire turche su gas e petrolio. L’obiettivo è proteggere una serie di contratti Eni e gli 8 miliardi di metri cubi di gas che dai giacimenti libici forniscono ogni anno il nostro mercato arrivando a Gela.

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