Sale ma senza fuochi di artificio la Borsa di Istanbul, abituata non da ieri ai colpi turchi di Recep Tayyip Erdogan, tanto abile quanto imprevedibile. L’ultimo colpo di scena è stato il via libera della Turchia all’ingresso della Svezia nella Nato, l’alleanza atlantica. Una mossa del tutto imprevista dopo un anno di trattative all’apparenza sterili sull’asilo politico a Stoccolma di militanti curdi ritenuto terroristi da Ankara. Una svolta, per giunta, arrivata pochi giorni dopo il rogo pubblico di un Corano giudicato una provocazione dal presidente turco.
Ma, a ben vedere, c’è del metodo nell’ennesima svolta del “sultano” che, superata pochi mesi fa la prova elettorale più difficile della sua lunga carriera politica, ha avviato l’ennesima correzione di rotta a 180 gradi, un cambiamento che va dalla politica monetaria ed economica fino alla gestione della politica estera, il vero asso della manica del Sultano che sa di essere indispensabile per l’Europa che continua a pagare ricche fees pur di evitare l’invasione di altri milioni di emigrati. Ma importante, Erdogan, lo è anche per la Russia che dalle parti del Bosforo ha l’unico sbocco per cereali ed oligarchi. E anche per Washington che ha pagato un alto prezzo alle ambizioni di Ankara.
Turchia e Svezia nella Nato: il prezzo del via libera per Biden
Pur di ottenere il sì di Erdogan, Biden ha accettato di cedere 40 aerei da caccia F16 più garantire la revisione di altri 79 aerei dell’aeronautica turca. Un’operazione da 20 miliardi di dollari che servirà a rafforzare la posizione della Turchia nella Nato, sia nei confronti della Grecia (consolata con la cessione di una piccola flotta di F 35) che sullo scacchiere del Nord Africa. Non è stata una scelta facile perché una bella fetta del Congresso americano diffida di Erdogan, che si è rivolto alla Russia per acquisire il sistema difensivo S 400. Ma come si fa ad ignorare l’unica finestra di dialogo con Putin? Solo Erdogan ha saputo garantire un accordo per la circolazione dei cereali dalle pianure russo/ucraine ai clienti africani, altrimenti destinati alla fame. E solo lui, sfidando le ire di Putin (ormai indebolito) ha potuto garantire il ritorno in patria dei combattenti della divisione Azov, simbolo per l’Ucraina. Una sfida pubblica al Cremlino tanto per dimostrare che è la Russia ad aver bisogno del Sultano e non viceversa.
Il sultano Erdogan e la svolta sulla lira turca
Ma, al di là dell’abilità diplomatica di Erdogan, vecchio sodale di Silvio Berlusconi che fu testimone delle nozze del figlio, merita sottolineare la spinta industriale e tecnologica di uno dei Paesi che, per tradizione, più hanno una lunga storia di relazioni con l’economia italiana. Dopo un lungo ed ostinato rifiuto ad aumentare i tassi, politica che è costata un’inflazione a tripla cifra al Paese, dopo le elezioni Erdogan ha effettuato una svolta epocale nominando alla guida della banca centrale Hafize Hayek Ergan, una manager scuola Goldman Sachs che ha completamente ribaltato le strategie a difesa della lira turca. Gli effetti si sono visti subito, sia sul mercato dei cambi che sulle obbligazioni.
Turchia: droni quotati al Nasdaq
Non meno importante anche sul piano politico un segnale per ora sottovaluato. L’1 luglio scorso, attraverso una Spac, la turca Marti Techologies è approdata al Nasdaq, a conferma che la nuova Turchia torna a guardare ad Ovest per finanziare la sua crescita.
A dimostrare l’efficienza tecnologica del made in Turkey basta del resto sottolineare l’enorme valore strategico dei droni Bayraktar sviluppati da Baykar Tech, È il primo APR hunter-killer di costruzione interamente turca per la sorveglianza a lunga autonomia e a medie altitudini, un’arma impiegata nel Donbass.
E che dire della famiglia Koç, da sempre definiti gli Agnelli di Turchia, vuoi per la lunga amicizia con l’Avvocato, vuoi per i legami storici tra Fiat e il costruttore anatolico (ancor oggi legayt a Stellantis)? Le cose sono cambiate. I Koç, infatti, sono sbarcati in Italia. Tocca a loro tentare il salvataggio di Whirlpool.