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Turchia e Italia: produttività e investimenti industriali

I bassi costi del lavoro ed un’oculata strategia industriale conferiscono alla Turchia un vantaggio competitivo nell’attrarre investimenti produttivi di natura verticale, mentre in Italia sembra mancare un’adeguata politica in tal senso.

Turchia e Italia: produttività e investimenti industriali

Secondo i dati dell’ultimo outlook “Italian Business in Turkey” pubblicato dall’Economic Research Center for Southern Italy and the Med Area, negli ultimi dieci anni l’economia turca ha presentato tassi di crescita del 5,1%.

Il quadro cambia se si considera il PIL pro capite, ben al di sotto della media europea. L’inflazione è e rimarrà ad alti livelli anche negli anni a seguire, nonostante il debito pubblico presenti valori ben lontani da quelli dell’area euro. Nonostante popolazione e PIL pro capite siano cresciuti negli anni, la bilancia dei pagamenti mostra un elevato deficit strutturale (10,4% lo scorso anno), causato principalmente dal disavanzo commerciale (nel 2011 ammontava a circa 76 miliardi di dollari).

Ma un vantaggio competitivo del Paese è rappresentato dalla distribuzione geografica dei flussi commerciali internazionali. Se i flussi commerciali verso i BRICS (Russia e Cina, in particolare) sono superiori se confrontati con quelli della Germania, l’economia europea che detiene le più intense relazioni commerciali con gli stessi, l’UE rappresenta sempre la regione più importante dal punto di vista geografico, contando per circa il 40% dei flussi commerciali totali. Il Paese con cui l’economia turca intrattiene le relazioni commerciali più intense è la Germania (27 miliardi e mezzo di euro in flussi commerciali), mentre l’Italia occupa per importanza la quarta posizione (16 miliardi).

In questo contesto, i flussi settoriali variano a seconda dei diversi partner commerciali. Le relazioni con Germania e Cina sono dominate dal settore meccanico e dei trasporti. E lo stesso vale anche per l’Italia. Lo scorso anno, lo stock di investimenti produttivi esteri in Turchia ammontava a circa 108 miliardi di euro. Un confronto con i maggiori Paesi dell’area euro mostra come la Turchia occupi una posizione marginale in tal senso, dal momento che il valore totale dei flussi in entrata è superiore soltanto a quelli nell’economia greca. Se si prendono in considerazione i valori pro capite, data la vasta popolazione, il divario con i Paesi europei sembra essere ancora maggiore. Gli investimenti esteri in entrata ammontano mediamente a 1600 euro pro capite, un valore estremamente lontano da Paesi come Olanda e Belgio (rispettivamente, circa 64000 e 25400 euro), confrontabile soltanto con quello in Grecia (1700 euro). Nonostante ciò, negli ultimi dieci anni, i flussi di investimenti produttivi in Turchia sono più che quadruplicati, da 22 a 100,8 miliardi di euro, contro una crescita italiana che non è andata oltre l’86,4% nello stesso periodo di tempo. Nel 2011, il valore aggiunto in Turchia ammontava a 500 miliardi di euro, di poco superiore ad un terzo di quello prodotto in Italia. Se si considerano i valori percentuali dello stesso, il settore primario rappresenta il 9% (contro il 2% italiano), l’industria il 22,3% (in Italia il 18,6%), i servizi il 63,7% (contro il 73,4% italiano). Se si considera l’intera struttura produttiva, in Turchia operano 2 milioni e mezzo di imprese (circa la metà di quelle che operano in Italia), con una densità di 35 imprese ogni 1000 abitanti, profitti aggregati per 758 miliardi di euro, contro i 2649 miliardi generati in Italia. Tra il 2003 ed il 2009, il settore manifatturiero turco ha registrato un incremento del numero di imprese del 35,8%, con un tasso di crescita del 52,7% ed un aumento del 18,5% dell’occupazione. In Italia, il medesimo settore ha assistito ad una caduta nel numero di imprese di circa il 18%, i profitti del 2,8% e l’occupazione del 12,6%, nonostante l’ammontare di imprese e di personale sia circa il doppio che in Turchia, dove però il costo del lavoro è significativamente più basso. Nel periodo 2003-2009, il numero di imprese operanti in Turchia è cresciuto del 42,5% (contro il 5,3% italiano) e la densità media per 1000 abitanti è passata da 26 a 35, contro la relativa stazionarietà del dato italiano. Nello stesso periodo, i profitti sono aumentati del 70% (14,4% in Italia), con una crescita del turnover del 20,4% (+8,7% in Italia). Di conseguenza, negli stessi anni gli investimenti lordi sono raddoppiati, mentre l’economia italiana ha registrato un modesto incremento del 6,1%, con effetti evidenti sull’occupazione, cresciuta in Turchia del 42,7%, mentre in Italia del 7,5%.

Da un lato, l’Italia presenta un maggiore stock di investimenti produttivi ed un maggiore PIL pro capite. Dall’altro, i principali discriminanti che attirano in Turchia maggiori flussi di IDE sembrano proprio essere il minor costo del lavoro, una maggior produttività e la differente struttura produttiva. La Turchia, infatti, grazie ad una strategia industriale mirata alla crescita del settore meccanico e dei trasporti, anche se non rappresenta ancora un mercato con un’ampia e stabile domanda interna, a causa di deficit e inflazione, sembra però avere nei confronti dell’economia italiana un vantaggio competitivo in termini di costo del lavoro e produttività. Con la conseguente crescita dei flussi di investimenti produttivi di natura verticale e notevoli benefici in termini di occupazione e profitti nel settore. Proprio ciò di cui ora l’Italia ha un disperato bisogno.

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