Mentre ancora ci si chiede se la sconfitta della Clinton sia stata causata maggiormente dagli errori di Obama nel suo mandato, dagli scandali che l’hanno coinvolta nel corso di una lunga carriera politica di luci ed ombre oppure dai segni indelebili della crisi globale rimasti a segnare la classe media made negli Usa, i mercati e gli investitori si stanno rapidamente riposizionando sulla variabile Trump.
“Trumpflation”: ecco uno dei nuovi vocaboli che connotano la politica del 45esimo Presidente americano: un mix di politiche che risvegliano Keynes dall’ipnosi da globalizzazione, nonché le quotazioni del settore dei farmaceutici dopo le bastonate subite dalle minacce della Clinton che hanno scatenato ribassi diffusi.
Nei Paesi emergenti si sono riversate vendite diffuse su bonds e azioni per la paura delle misure protezionistiche penalizzanti promesse a più riprese da Trump, che avranno effetti non solo sul Messico ma anche su altre economie: quelle di Argentina, Turchia, Ucraina e Sudafrica in testa.
E mentre solo i Brics sembrano limitare i danni, guidati dal rimbalzo della Borsa cinese, supportata da previsioni di ulteriori debolezze sullo yuan, pare evidente che le commodity potrebbero contenere gli effetti della fuga di capitali dai mercati più rischiosi se trovassero nuovi spunti dai piani infrastrutturali che Trump avvierà per rafforzare il contesto macroeconomico statunitense.
Ciò implicherà anche una contrazione delle rimesse che dagli immigrati negli Usa vanno verso i Paesi emergenti e anche dei Flussi d’investimento diretto (FDI) che per molti Paesi sono fondamentali per finanziare il deficit di parte corrente. Certamente poi il rafforzamento del dollaro Usa che proseguirà è un altro degli elementi che produrrà un effetto di trasmissione diretta su questo comparto.
Il titolo di Stato decennale degli Usa vede così i rendimenti salire ai massimi da gennaio, al 2,15%, con un possibile obiettivo al 2,5%. Mentre l’indice Vix della volatilità è precipitato, accantonando i picchi che hanno caratterizzato una campagna elettorale all’ok corral.
Se le elezioni Usa non cambiano l’outlook dell’economia dei Paesi dell’Eurozona, certamente mettono sotto pressione la Bce, che è attesa ad un prolungamento del Quantitative easing per almeno altri sei mesi oltre la scadenza del marzo 2017 . La necessità di salvaguardare dalle turbolenze attese dalle manovre fiscali e inflazionistiche della presidenza Trump i Paesi periferici e mantenere la stabilità dei prezzi com’è stato fatto dopo l’esito del referendum sulla Brexit vedranno nuovamente Mario Draghi sugli scudi.
E in un anno di tornate elettorali cruciali per Francia (a fine aprile 2017 le elezioni presidenziali e a giugno le elezioni generali), Olanda (marzo 2017 elezioni generali), e Germania (settembre 2017 elezioni federali), l’azione della Bce resterà fondamentale.
Il mandato della Yellen a capo della Fed scadrà nel 2018 e sarà importante per il Presidente successivo non mettere mai in dubbio l’assoluta indipendenza della Fed per non farsi presentare un conto dai mercati che sarebbe piuttosto salato. Via libera quindi al rialzo dei tassi a dicembre e ad almeno un paio di ulteriori rialzi il prossimo anno. Anche i toni con i cinesi necessariamente dovranno tenere conto dell’ingente quantitativo di Treasuries americani nelle loro mani, perché in fondo portare alle estreme conseguenze accordi internazionali come il Nafta e il Tpp non porterebbe valore aggiunto alla causa americana, volta a evitare una futura recessione.
Dove invece correttamente Trump inciderà sarà sulla Nato, per costringere quei paesi che non supportano finanziariamente e in modo adeguato l’Alleanza a cambiare rapidamente di passo. Gli Usa infatti si sobbarcano due terzi dei costi e ciò non è coerente con una politica estera statunitense decisamente ridimensionatasi negli anni.
Così Putin dalla Madre Russia potrà tirare un sospiro di sollievo nel vedere allentarsi le tensioni da parte della Nato e potrà riproporsi per la sua opera di mediazione in Syria, nella speranza poi di riprendere e rafforzare gli affari di Gazprom con l’Ue e soprattutto il North Stream 2, che dovrebbe approdare in Germania ottenendo un alleggerimento delle famigerate sanzioni.
Con il Congresso a favore sarà facile per Trump avviare piani economici che incidano sull’economia reale e quindi sulle infrastrutture del Paese, trovando sempre efficacemente la misura tra promesse elettorali e ciò che nei primi 100 giorni sarà in grado di attuare.
I mercati non aspetteranno la data dell’insediamento per prezzare aspettative che crescono giorno per giorno e che vengono alimentate dalle numerose dichiarazioni di Trump, che già con i primi annunci sulla messa in sicurezza dei confini e sulla lotta agli immigrati irregolari e coinvolti in attività criminali non perde tempo a consolidare il consenso ottenuto.