Donald Trump, dopo aver attaccato più volte Jerome Powell, ora si smentisce e lo conferma alla guida della Fed, ma solo sperando in un’azione più decisa sui tassi. Sul fronte commerciale, dopo aver minacciato la Cina con dazi devastanti, ammette che le tariffe sono troppo alte e promette riduzioni, senza però tornare ai livelli pre-guerra commerciale. Questa apertura arriva proprio quando il Fondo Monetario Internazionale (FMI) rivede al ribasso le stime di crescita globale, comprese quelle per Stati Uniti e Cina, confermando gli effetti negativi dei dazi. Nel frattempo, il tentativo di Trump di esercitare il controllo sui media viene bloccato da un giudice Usa, che ordina il ripristino dei fondi e dei giornalisti licenziati da Voice of America. Intanto, le università americane, da Harvard a Yale, non solo rifiutano le sue ingerenze politiche, ma si uniscono per difendere l’indipendenza accademica, segno che le sue battaglie non fanno breccia. E per finire, Elon Musk, ormai alle prese con la crisi di Tesla, annuncia di voler fare un passo indietro dal governo, forse per cercare di salvare il suo business, mentre Trump continua a girare in tondo con promesse e ripensamenti.
Trump allenta la presa su Powell e i dazi sulla Cina
Dopo giorni di attacchi, Trump sorprende tutti con un linguaggio più misurato nei confronti di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, dichiarando di non volerlo licenziare, pur sperando in un’azione più incisiva sui tassi. Solo pochi giorni prima aveva minacciato di rimuoverlo, sfidando apertamente l’indipendenza della Fed. Sul fronte commerciale, Trump ammette che i dazi sulla Cina sono troppo alti, con alcune tariffe che arrivano fino al 145%, e promette riduzioni significative, ma senza tornare ai livelli pre-guerra commerciale. La sua dichiarazione ha avuto un impatto positivo sui mercati, con Wall Street che ha registrato un rialzo del 2,5% e il dollaro che si è rafforzato. L’effetto dei dazi è visibile anche a livello aziendale, come nel caso di Boeing, che ha dovuto riprendersi un 737 Max destinato a Xiamen Airlines a causa dell’annullamento della consegna. Nel frattempo, la Casa Bianca ha confermato che sono in corso negoziati commerciali con diversi paesi, tra cui la Gran Bretagna, e che ci sono trattative avanzate con circa 15 altri partner commerciali.
Vertice Trump-von der Leyen a Roma?
Sabato 26 aprile, Trump e Ursula von der Leyen saranno a Roma per il funerale di papa Francesco, e si vocifera che l’occasione possa trasformarsi in un vertice sui temi commerciali. Al momento non ci sono incontri ufficiali, ma la Commissione Ue non esclude colloqui a margine, a condizione che i negoziati in corso portino a un’intesa preliminare. Se non si raggiungerà un accordo, il vertice potrebbe slittare al summit Nato di fine giugno.
Attualmente i contro-dazi europei restano sospesi, mentre quelli americani sono fermi al 10% per altri 78 giorni. Scaduto questo termine, senza un accordo, potrebbero tornare ad alzarsi. Il meccanismo di trattativa prevede che i leader entrino in campo solo in fase finale, per firmare l’intesa e disinnescare i rischi di scontro politico.
Trump contro Voice of America, ma il giudice lo ferma: “È illegale”
Donald Trump voleva silenziare Voice of America, ma un giudice federale gli ha sbattuto la porta in faccia. Con un’ordinanza senza mezzi termini, il giudice Royce Lamberth ha intimato all’amministrazione di sbloccare subito i fondi congelati a VOA, Radio Free Asia e Middle East Broadcasting Networks, e di reintegrare i giornalisti licenziati. Lamberth supervisiona sei cause legali intentate da ex dipendenti e consulenti della US Agency for Global Media, travolta dall’ordine esecutivo firmato da Trump a marzo per chiudere le emittenti pubbliche internazionali. In tutto, oltre 3.500 lavoratori messi alla porta e trasmissioni sospese. La motivazione? Secondo Trump, queste testate erano diventate troppo “filodemocratiche”. Ma per la giustizia americana, erano e restano un pilastro dell’informazione indipendente. E adesso il presidente è costretto a fare retromarcia.
Università Usa contro Trump: 150 atenei difendono l’indipendenza accademica
Le università americane si schierano compatte contro Donald Trump. Oltre 150 atenei, tra cui le prestigiose Harvard, Princeton e Yale, hanno condannato l’ingerenza politica del governo negli affari accademici, firmando una lettera aperta in difesa dell’indipendenza universitaria. Il conflitto è esploso dopo l’annuncio della causa legale di Harvard contro il congelamento di miliardi di fondi, sotto l’ombrello di una campagna contro l’antisemitismo nei campus. Trump, che ha minacciato di revocare lo status esentasse alle università disobbedienti, sembra voler usare l’arma dei fondi per portare le istituzioni accademiche sotto il controllo ideologico della Casa Bianca. Nonostante la resistenza di molte università, tra cui i rinomati college delle liberal arts, alcune scuole, come la Columbia, hanno ceduto alle pressioni, accettando gran parte delle richieste presidenziali. La battaglia si infiamma proprio mentre Trump continua a sfidare l’autonomia accademica, promettendo riforme e controlli più severi, tra cui il ripristino dei debiti studenteschi. La rivolta degli atenei, però, avverte: il rischio è una pericolosa interferenza nel cuore della libertà di pensiero.