Il 2025 si preannuncia come un anno tutt’altro che ordinario per l’economia mondiale. Con l’amministrazione Trump al timone degli Stati Uniti, la politica dei dazi rimane uno degli elementi più discussi e potenzialmente destabilizzanti per gli equilibri economici globali. Un’analisi di Prometeia, società di consulenza economica, fa luce sulle implicazioni di questa strategia e su come l’Italia, tra luci e ombre, potrebbe affrontare queste sfide globali.
Dazi Usa e i rischi per la crescita globale: cosa aspettarsi nel 2025
Se inizialmente l’amministrazione Trump aveva suscitato ottimismo grazie alle promesse di riduzioni fiscali e deregolamentazione, la realtà dei fatti sta mettendo alla prova la stabilità economica globale. Gli annunci successivi riguardanti l’imposizione dei dazi, in particolare su acciaio, alluminio e prodotti automobilistici, hanno creato confusione tra gli operatori economici e complicato le relazioni commerciali con alcuni alleati storici degli Stati Uniti, tra cui l’Europa. A ciò si aggiungono i rischi legati al mercato del lavoro statunitense, che compromettono ulteriormente la crescita economica globale e, inevitabilmente, quella degli Usa nel breve periodo.
L’impatto dei dazi Usa sull’Europa e sulle esportazioni italiane
Secondo Prometeia, i dazi attualmente imposti a Messico, Canada e Cina resteranno invariati, includendo anche quelli sulle importazioni di acciaio e alluminio applicabili a tutti i paesi. Per l’Europa, oltre alle tariffe su acciaio e alluminio, si prevede un aumento dei dazi sulle importazioni di autoveicoli e l’introduzione di tariffe aggiuntive su alcuni prodotti alimentari, in particolare quelli in cui gli Stati Uniti registrano un forte disavanzo commerciale. Le misure potrebbero entrare in vigore già nel 2025, ma, in ogni caso, meno del 15% delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti risulterebbe colpito da queste nuove imposte.
L’Europa, a sua volta, potrebbe adottare contromisure simili verso alcuni prodotti americani, come già fatto da Cina e Canada e minacciato più volte da Bruxelles. Secondo Prometeia, però, l’impatto sul Pil europeo sarebbe limitato a una riduzione di circa 0,1-0,2 punti percentuali annui nei primi tre anni, con effetti marginali sull’inflazione.
Per l’Italia, tuttavia, la politica dei dazi degli Stati Uniti potrebbe danneggiare le esportazioni, soprattutto se l’indebolimento del dollaro farà lievitare i costi delle merci prodotte in euro. Secondo Prometeia, il nostro Paese rischia una perdita tra lo 0,1% e lo 0,3% del Pil nei prossimi due anni, a causa della minore competitività sul mercato globale e della riduzione degli investimenti.
Il rischio di stagflazione negli Stati Uniti: conseguenze per l’economia globale
Nonostante le difficoltà nel calcolare con precisione gli effetti di queste misure, il raddoppio delle tariffe sui beni cinesi avrà un impatto evidente sull’economia statunitense, portando a un aumento dei prezzi interni e, potenzialmente, a una contrazione dei consumi. Se Trump dovesse espandere ulteriormente i dazi ad altri paesi, tra cui l’Europa, ciò potrebbe indurre la Federal Reserve a rallentare la riduzione dei tassi di interesse. Una crescita più lenta e un’inflazione più alta potrebbero esercitare pressioni sul dollaro, che a sua volta potrebbe rendere meno attraenti i Treasury sui mercati internazionali, creando incertezze sugli investimenti. L’insieme di questi fattori potrebbe spingere l’economia a stelle e strisce ad affrontare una pericolosa stagflazione. Un rischio che non può essere ignorato.
Italia: il ritorno alla “normalità” tra crescita lenta e sfide strutturali
L’Italia, nel 2025, avrebbe dovuto vedere il ritorno a una crescita economica “normale”, post-pandemia, con l’inflazione sotto controllo e il Superbonus ormai un ricordo. Le nuove regole di bilancio europeo rinnovate avrebbero dovuto favorire una ripresa, seppur modesta, della nostra economia. Tuttavia, le previsioni di Prometeia suggeriscono che, almeno nella prima metà dell’anno, l’economia italiana crescerà a un ritmo contenuto, con qualche possibilità di accelerazione nella seconda parte dell’anno.
Settore industriale italiano in difficoltà: le sfide della ripresa economica
La spesa delle famiglie non si è ancora ripresa dallo shock inflazionistico degli anni precedenti, e una delle criticità principali resta la debolezza del settore industriale. Dopo un iniziale recupero post-Covid, l’industria italiana è entrata in stagnazione, con una contrazione della produzione che ha raggiunto il -30% nel settore automobilistico, a causa della sua ristrutturazione. Al di là di questo fattore, anche la produzione manifatturiera è calata del 3%, con settori come quello tessile e dell’abbigliamento che hanno visto contrazioni significative (-17%). Nonostante queste difficoltà, ci sono segnali positivi: l’inflazione è rimasta bassa, con una media annuale dell’1% nel 2024 e un tasso del 1,6% a febbraio. Inoltre, l’occupazione è aumentata, con 380mila nuovi posti di lavoro (+1,6%) e un deficit pubblico che si è ridotto al 3,4% del Pil, con un saldo primario in avanzo.
Il risveglio della Germania: nuove opportunità per l’Italia e l’Europa
Tuttavia, ci sono anche buone notizie provenienti dalla Germania. Il nuovo governo tedesco ha annunciato un ambizioso piano di investimenti in infrastrutture, con un aumento di 30 miliardi di euro all’anno a partire dal 2026. Questo piano dovrebbe stimolare la crescita tedesca, che potrebbe raggiungere l’1,3% nel 2026 e l’1,5% nel 2027. Sebbene gli effetti positivi saranno limitati, si faranno sentire anche in Italia, aumentando la domanda per le esportazioni italiane e rafforzando la manifattura europea nel suo complesso. Per l’area euro, Prometeia ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita rispetto a dicembre, che dovrebbero stabilizzarsi tra l’1,1% e l’1,2% a partire dal 2026.
La Bce pronta a nuovi tagli per stimolare la crescita
Sul fronte monetario, Prometeia prevede che la Bce riduca ulteriormente i tassi, con due tagli da 25 punti base ciascuno entro l’estate di quest’anno. Questo abbassamento sarebbe mirato a evitare condizioni restrittive nel credito, che potrebbero peggiorare ulteriormente gli effetti dei dazi statunitensi. Nel 2027, dopo il consolidamento della ripresa, la Bce potrebbe riportare il tasso al 2,5%, un livello considerato prossimo al valore di equilibrio a lungo termine.