Trump manda in tilt le Borse mondiali e Piazza Affari sprofonda, chiudendo a -2,95%, 18.759 punti, con le banche in caduta libera a partire da Ubi (-6,8%) e Unicredit (-5,45%). Fra le blu chip non si trova nemmeno un titolo positivo.
Profondo rosso anche per altri listini continentali: Madrid -1,5%; Francoforte -1,12%; Parigi -1,14%; Londra -0,92%. Il clima europeo s’incupisce dopo l’apertura negativa di Wall Street e i tre listini principali in discesa. Il Dow torna sotto i 20.000 punti, mentre il Nasdaq, a metà giornata, perde oltre un punto percentuale. Secondo la maggior parte dei commentatori i mercati soffrono l’incertezza politica innescata dal controverso decreto sull’immigrazione firmato venerdì scorso da Donald Trump. Per il Financial Times il tycoon è un disastro anche per la Brexit e la “Gran Bretagna non può guardare agli Usa per ottenere un supporto dopo il divorzio dalla UE”.
Intanto c’è attesa per la due giorni Fed che comincia domani, mentre in Europa i dati preliminari sull’inflazione tedesca a gennaio deludono leggermente le attese, fermandosi all‘1,9% (contro il 2% previsto). In ogni caso è il dato più alto da oltre tre anni. Dalla Germania arrivano inoltre risultati economici più che positivi: il paese torna il primo esportatore al mondo, davanti alla Cina e Volkswagen, in barba al dieselgate, conquista la leadership mondiale dell’auto nel 2016 e sorpassa Toyota.
Per l’Italia invece non ci sono buone notizie. Lo spread fra decennale tedesco e italiano riprende quota e sale a 188.10 punti (+6,27%), con il rendimento che arriva al 2,33%. All’incertezza politica mondiale si somma infatti quella nostrana; inoltre mancano solo 48 ore alla scadenza Ue per spiegare dove troveremo le risorse per far tornare in linea il debito, pena lo sforamento del patto di stabilità. Allo studio ci sarebbe una stretta sull’evasione e un ritocco dell’Iva.
In questo contesto Unicredit si appresta a lanciare il più grande aumento di capitale che banca ricordi: 13 miliardi a partire dal 6 febbraio. Il gruppo ha annunciato, dopo la chiusura delle contrattazioni, perdite a quota 11,8 miliardi nel 2016. Dal Documento di registrazione, approvato dalla Consob risulta inoltre che la Bce ha chiesto a Unicredit di presentare, entro il 28 febbraio “una strategia in materia di crediti deteriorati, supportata da un piano operativo per affrontare la tematica dei NPL”.
Secondo Eurotower “sebbene le azioni poste alla base del Piano Strategico siano finalizzate a mitigare i profili di debolezza del Gruppo, sussiste il rischio che le azioni prospettate nel Piano non siano in grado di fronteggiare adeguatamente i profili di debolezza riscontrati”. Dal canto suo Unicredit rivela che la mancata sottoscrizione o la sottoscrizione parziale dell’aumento “determinerebbe – in assenza di ulteriori interventi di rafforzamento patrimoniale adeguati a far fronte agli assorbimenti di capitale generati dalle azioni del piano strategico – significativi impatti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del gruppo stesso, fino a compromettere la sussistenza dei presupposti per la continuità aziendale”.
Vendite fitte su Ubi, -6,8%, ma dopo un rally durato molte settimane e Bper -4,59%.
Crollano i titoli protagonisti o comprimari del possibile risiko bancario-assicurativo: Generali -3,15%; Mediobanca -2,92%; Intesa -2,55%. Batosta anche per Unipol -5,71% e Unipolsai 4,58%.
Sprofonda Saipem -6,5%, su cui pesa il taglio della raccomandazione di Banca Imi che ha portato a “reduce” il giudizio sul titolo da “hold”, con target price a 0,45 euro. Emorragia sugli altri petroliferi: Tenaris -5%; Eni -2,72%.
Negli industriali malissimo Buzzi -4,03%. Oggi paga pegno anche Fca: -3,71%. Utility in affanno, Italgas -3,95%.
Vendite su moda e lusso: Ferragamo -3,14%; Yoox -2,01%.
L’euro torna sotto 1,7 contro dollaro a 1,69, -0,18%; Brent -0,54% a 55,4 dollari al barile; Oro in controtendenza, +0,45%, a 1196,5 dollari l’oncia.
Nel clima tenebroso spunta solo un piccolo chiarore: Andrea Enria, presidente dell’Autorità bancaria europea (Eba), ha lanciato la proposta di una bad bank continentale, una società di gestione per raccogliere fino a 1.000 miliardi di sofferenze, indubbio ostacolo alla crescita economica. Le banche potrebbero vendere i crediti problematici a questa società e tali crediti sarebbero prezzati al loro valore economico reale; la società avrebbe tre anni per venderli. “Se non si riesce a ottenere questo valore – spiega – la banca deve accollarsi l’impatto del prezzo di mercato”.