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Trump, Macron, Starmer, lo strappo di Meloni nella Ue, la Cina e le guerre: così va il mondo. Parla Stefano Silvestri

Imagoeconomica

Meloni ha sbagliato a non votare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, si è autoesclusa dal consesso di chi conta in Europa, mentre non è detto che Trump sia eletto a novembre. E poi la guerra in Ucraina, la direzione che prende la Cina, l’Iran a trazione moderata ma non troppo, la nuova Gran Bretagna a guida laburista e la Francia di Macron dopo lo scioglimento anticipato del Parlamento.

Colloquio a volo d’uccello sul mondo che cambia con il professor Stefano Silvestri, grande esperto di geopolitica e di questioni militari, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali.

Professor Silvestri, come giudica la decisione della premier Meloni di non votare von der Leyen alla presidenza della Commissione europea?

“Meloni gioca due ruoli, di governo e di partito. Essersi rinchiusa in una posizione ideologica di destra, anche alla luce dei risultati delle elezioni europee che non sono proprio andate come forse questi partiti si attendevano, la indebolisce, anche e soprattutto come Presidente del Consiglio del governo italiano.

Non dovrà poi meravigliarsi se altri partiti che, invece hanno scelto di stare dalla parte della nuova maggioranza, non le daranno retta. Mi pare insomma che si sia autoesclusa dal governo europeo e, cosa più grave di tutte, ha escluso l’Italia dal consesso dei Grandi. Non so se non abbia compreso come funziona la politica europea; quindi, non capisco se abbia agito per ignoranza delle regole, oppure se lo abbia fatto per volontà politica. In entrambi i casi però è stato un errore. Perché anche se fosse stato per volontà politica, perché magari ha deciso di puntare sul grande asse sovranista Trump-Orban-Meloni, ha sbagliato valutazione perché Trump non è interessato alla politica europea. E semmai lo fosse, la sua politica sarebbe quella di dividere gli europei, mettendoli l’uno contro l’altro, come ha fatto nella precedente presidenza. Insomma, Meloni ha praticato manovre da cortile che indeboliscono il Paese. E il fatto che abbia sentito il bisogno di spiegarsi con un’intervista al Corriere della Sera ne è la dimostrazione, perché in effetti non ha chiarito nessuno dei grandi temi. Anzi alla domanda delle giornaliste a proposito dell’accusa di aver schierato l’Italia all’opposizione del nuovo governo europeo, ha risposto dando la “colpa” della scelta agli imprenditori e agli industriali che a suo dire le hanno chiesto di contrastare un’Europa “che non guarda il contesto nel quale si muove e pensa che la sua missione sia semplicemente di iper regolare tutto”. Il solito refrain sovranista, nulla di nuovo”.

Ha citato Trump, lei pensa che abbia ha già vinto le elezioni?

“Io mi rifiuto di pensare che Trump abbia già vinto le elezioni. Mi auguro che i Democratici sappiano reagire. Vedremo che succede con Biden, che ha una pessima stampa e sembra non avere più energie per riprendere l’iniziativa politica. Mi auguro che da qui alla Convention democratica di agosto qualcosa sia deciso. Trump è in vantaggio, è vero, ma vedremo. Quello che però vorrei dire a chi punta su Trump è che l’ex presidente ha già dimostrato di non essere prevedibile, e che in ogni caso la sua politica è, come dicono gli americani, “transactional”, cioè negoziale. Vale dire che egli negozia ogni cosa per avere un vantaggio: che cosa gli può dare l’Italia? Che cosa gli può dare Orban? È quasi certo che a parte un indebolimento generico dei maggiori Pesi europei, praticamente egli non darà nulla. Io credo che si debba stare molto attenti a considerare utile questa politica e soprattutto essa va giudicata oltre l’ottica di Trump.”

Tanto più ciò vale per la guerra in Ucraina…Facciamo un punto?

“Sostanzialmente siamo in una posizione di stallo. È una guerra molto dura, ma soprattutto bisogna essere consapevoli che non si vince una guerra stando solo sulla difensiva, come accade agli ucraini, sebbene passare per loro all’offensiva senza aggredire il territorio russo è doppiamente difficile. Uno perché l’Ucraina non ne ha probabilmente le forze; due perché appunto è limitata nelle sue libertà di azioni essendo costretta a combattere solo sul suo territorio. Il che offre un enorme vantaggio alla Russia, oltre a quelli che ha già dal punto di vista numerico e di posizione. È chiaro che prima o poi si dovrà arrivare a una soluzione, ma non mi sembra che Putin sia disposto a negoziare. Quindi probabilmente non succederà nemmeno se alla Casa Bianca ci sarà Trump. Putin potrebbe accettare un eventuale armistizio, con una soluzione in cui l’Ucraina è sotto schiaffo, sotto il controllo russo, diretto o indiretto. Ma temo che accettare questa soluzione sia difficile anche per Trump. Mentre è del tutto inaccettabile per gli europei, senza contare che essa rischia di mettere in crisi la Nato. L’altra soluzione, quella con l’Ucraina dentro la Nato, con trattati nuovi di sicurezza, non può essere invece accettata da Putin, visto che ha fatto la guerra anche per allontanare la Nato dai suoi confini. Insomma, non siamo ancora pronti a uscire dallo stallo”.

Zelensky ha fatto un passo invitando Putin al prossimo appuntamento dei negoziatori per la pace: ha fatto bene?

“Ha fatto bene, deve dare una prospettiva a questa guerra durissima che ha già messo in ginocchio il Paese. Quindi è giusto, ma non corrisponde ai desideri di Putin. E ricordo che nemmeno lo scodinzolante Orban sembra che abbia ottenuto qualcosa da Putin”.

Parliamo della Cina: dove è diretta?

“La Cina è forse il Paese più preoccupato da un possibile arrivo di Trump alla Casa Bianca perché egli potrebbe indurire molto la politica di chiusura degli Usa già seguita anche da Biden. A parte che questa politica danneggia anche i mercati americani, ma danneggia molto di più quelli della Cina. Probabilmente, se Xi sarà costretto a chiudere la Cina in difesa, il suo problema sarà quello di conquistare il maggior numero di alleati fra i Paesi del Sud globale, quelli che una volta si sarebbero chiamati del Terzo Mondo. O forse addirittura potrebbe tentare una apertura verso l’Europa se veramente Trump dovesse scatenarsi contro gli europei. Certo con le sue ambizioni geopolitiche in Asia, a cominciare dal caso Taiwan, alla sua politica nel mar Giallo, verso la Corea, e il Giappone, la Cina si è chiusa in una posizione aggressiva. Tutto ciò può forse non impensierire Brasile o Sud Africa, due Paesi del Sud globale appunto, ma sicuramente preoccupa i Paesi asiatici più vicini ai cinesi: Vietnam, India, Indonesia, che non penso siano disponibili a seguire la Cina in questa politica aggressiva. Forse Xi ha fatto un passo troppo lungo inaugurando una stagione di grande solidarietà con alleati non proprio presentabili, come la Russia di Putin, l’Iran e la Corea del Nord. Vedremo se riuscirà a riprendere invece il filo della sua lunga e fruttuosa esperienza di diplomazia dei suoi predecessori. Glielo auguriamo anche per il futuro del resto del mondo”.

Ha citato l’Iran, inizia nuova stagione con l’elezione del nuovo presidente?

“È presto per dirlo. Certo le sue prime dichiarazioni su Gaza lasciano sperare in qualche cambiamento di rotta, visto che che ha parlato di pace e non solo di solidarietà con la causa palestinese. Qualcosa potrebbe cambiare a livello internazionale anche nel rapporto sul nucleare con gli americani, ma non è il momento per Washington di occuparsi del problema visto che ora ha altre gatte da pelare. E anche per gli europei l’Iran non sembra essere ai primi posti nell’agenda delle priorità. Sarebbe comunque un segnale se cambiasse qualcosa in politica interna, cioè si allentasse la morsa nei pasdaran sulla popolazione. Mi pare tuttavia una cosa difficile. Ma si capirà presto”.

Come ha letto la vittoria dei Laburisti in Gran Bretagna?

“Hanno avuto bella vittoria, per numero di seggi soprattutto. Si potrebbe dire che il sistema elettorale inglese ha aiutato la Gran Bretagna a tenere in cantina la destra populista di Farage, che pur avendo preso più voti dei liberali, ha ottenuto solo 4 seggi mentre i liberali ne hanno conquistato quasi 70. Il che spiega però il crollo dei conservatori: i voti che Farage ha preso loro sono quelli che hanno consentito a liberali e laburisti di vincere in tanti seggi. Il che significa: a) che i populisti potranno continuare a ricattare i conservatori contribuendo probabilmente ad assicurare loro una molto lunga permanenza all’opposizione; b) che seguire le sirene estremiste può fare molto male ai partiti di governo. E comunque appare evidente che gli inglesi ne avevano abbastanza dei governi conservatori visto che appena è arrivato sulla scena politica un laburista ragionevole come Starmer lo hanno subito mandato al governo.

Che cosa farà questo nuovo governo?

“Di sicuro tenterà un avvicinamento all’Europa, ma è presto per immaginare che possa cancellare la Brexit. Quindi tratterà per avere rapporti più stretti, con trattati e patti. Mentre senz’altro continuerà nella politica dei rapporti privilegiati e antichi con gli Usa. E tuttavia non è più il tempo, né di qua dell’Atlantico né di là, per questo tipo di rapporti, i due Paesi sono del tutto cambiati, come è ovvio che sia con il passare del tempo. Tanto più che gli inglesi sognano di avere anche loro una presenza nel Pacifico in memoria dei tempi imperiali che furono. Presenza che potrebbe non dispiacere agli americani, ma è destinata ad essere poco rilevante. Comunque, la Gran Bretagna mantiene nel Pacifico il suo vero rapporto speciale residuale, quello dell’alleanza anglofona fra Usa, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Quest’ultima sembrava essersi allontanata dal vecchio alveo familiare, ma il montare della Cina la riconduce a casa necessariamente. Parliamo di un’alleanza politica, di intelligence e militare consolidatasi già durante le due guerre mondiali. Nel frattempo, giudico la vittoria di Starmer un fatto molto positivo per gli inglesi soprattutto perché questi ultimi governi conservatori sono stati veramente inadeguati”.

Volevo chiederle anche un giudizio sulla Francia dopo la decisione di Macron di sciogliere anticipatamente l’Assemblea, scelta che ha diviso francesi e osservatori politici.

“Io non penso che Macron abbia fatto un errore, perché non penso che avesse molte alternative. Dopo l’affermazione di Le Pen doveva reagire, e ha reagito richiamando i francesi a difendere le posizioni repubblicane. E la reazione c’è stata. Macron non è stato un cattivo presidente ma non è amato, questo è palese. La Francia in realtà è spezzata in due minoranze rumorose, i lepenisti e i mélenchonisti. Macron è in mezzo. È difficile capire che cosa ora si possa fare. Io mi auguro che i macronisti, i gollisti, i socialisti e i Verdi si accordino per formare un governo di legislatura e non solo uno che regga fino alle prossime elezioni, cosa possibile il prossimo anno. Macron ha ancora i poteri del presidente che spero utilizzi per quanto previsto dalla Costituzione. E mi auguro che i politici francesi riflettano se sia meglio vivere in un Paese che oscilla fra Le Pen e Mélenchon oppure in un Paese diverso. Certo governare la Francia è molto difficile, basti pensare alle proteste insensate contro l’aumento dell’età pensionabile. Insomma, la Francia dovrebbe imparare a ragionare, dopotutto è il Paese dell’Illuminismo e quello di Descartes, non dovrebbe essere difficile per loro”.

È iniziata la seconda fase dell’Europa: come giudica il discorso di Ursula von der Leyen?

“La presidente è allineata sulle posizioni dei Popolari, usciti vittoriosi da queste elezioni. Sono posizioni che non soddisfanno completamente la sinistra e nemmeno la destra, ma tant’è, si chiama politica. Gli ecologisti che l’hanno votata hanno capito che è meglio essere nella maggioranza che governa piuttosto che fare i pinocchietti fuori dal governo e non contare a nulla. Meloni invece non l’ha capito ed è rimasta fuori a fare la pinocchietto. Peccato”.

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