Un indizio è un indizio, diceva Agatha Christie, due indizi sono una coincidenza ma tre indizi sono una prova. Nel caso di Trump, di indizi potrebbero bastarne due.
Il primo indizio è il tweet di sabato scorso sul debito pubblico. Avete visto, ha scritto, sono qui solo da un mese e il debito pubblico è già sceso di 12 miliardi, con Obama il primo mese salì di 200. I commentatori si sono scatenati negli sberleffi e gli economisti hanno fatto notare la diversità di circostanze (nei primi mesi del 2009 l’economia era in caduta libera, oggi non lo è).
Ragioni e torti a parte, tutti si sono concentrati sul messaggio e nessuno sul metamessaggio, molto più interessante. E il metamessaggio, ci sembra, è che Trump dà parecchia importanza a disavanzo e debito e che, se potesse, gli piacerebbe essere ricordato come il presidente che li ha ridotti entrambi drasticamente. Ma la vita è quella che è, dice Trump tra le righe, e a me sono toccate delle carte mediocri. C’è un po’ di crescita, è vero, ma lasciati a sé stessi disavanzo e debito sono stati programmati da chi è venuto prima di me per salire velocemente nei prossimi anni. Oltre a quello che eredito ci metterò poi del mio spendendo un trilione in infrastrutture e tagliando le imposte su tutta la linea. E comunque state tranquilli, vedrete che disavanzo e debito non esploderanno e tutto rimarrà sotto controllo.
È matto? Vive in un mondo di matematica alternativa? Alcuni congressisti democratici pensano di sì e stanno preparando la strada all’impeachment di Trump per via psichiatrica attraverso un allargamento del venticinquesimo emendamento, quello sui presidenti malati o matti. A giudicare della pazzia di un presidente sarà, nella loro proposta, una commissione formata dagli ex-presidenti, nessuno dei quali, notoriamente, ama Trump.
Trump però non è matto e non va a vantarsi di 12 miliardi risparmiati sapendo che questo tweet gli verrebbe rinfacciato un milione di volte il giorno in cui il disavanzo dovesse esplodere davvero. Se Trump si lancia nel vuoto non è dunque perché è matto ma perché ha finalmente deciso, in cuor suo, se stare con Ryan e i repubblicani della camera bassa (tagli aggressivi delle tasse finanziati dalla border tax) o con i senatori repubblicani (pochi tagli e niente border tax). E ha evidentemente optato per la prima ipotesi. Si lancia dunque nel vuoto perché conta di cadere sulla rete di protezione offerta dalle cospicue entrate della border tax (o border adjustment, come sarebbe più corretto dire dato che non è un’imposta sulle transazioni con l’estero ma sul cash-flow domestico).
Il secondo indizio lo ricaviamo dal discorso di Trump sullo stato dell’unione. Molti commentatori l’hanno trovato povero di indicazioni concrete sulla politica fiscale. Make America wait again, ha scritto Bloomberg parodiando il Make America great again trumpiano. Anche qui, troppa fretta. Trump ha dato infatti un’indicazione chiarissima, anche se espressa in codice. Le nostre meravigliose Harley-Davidson tutte prodotte negli Stati Uniti, ha detto, potrebbero vendere molto di più anche all’estero se non fosse per quei dazi che arrivano in certi casi fino al 100 per cento. Sul fisco non ha aggiunto altro, se non che le tasse caleranno di molto per tutti.
Mettiamo insieme i due indizi, riempiamo i punti di sospensione lasciati da Trump con quello che non ha detto esplicitamente ma ha lasciato intendere e abbiamo la prova provata che Trump ha sposato in pieno i piani di riforma fiscale radicale della camera bassa. Fino a una settimana fa la posizione di Trump non era affatto scontata (l’ala Goldman Sachs del suo governo era contraria, ma alla fine ha prevalso l’insospettabile asse tra Ryan e Bannon), oggi sappiamo. Ed ecco le borse superare di slancio il rialzo dei tassi anticipato a marzo (annunciato da ben tre membri del Fomc proprio mentre parlava Trump) e segnare nuovi massimi storici. Ed ecco il dollaro rafforzarsi (come da programma dei riformatori radicali) e compiere così il miracolo di fare salire anche le borse dei paesi, come quelli europei, che dovrebbero essere le vittime del border adjustment americano.
Quattro caveat. Il primo è che la priorità politica assoluta, in questo momento, è la riforma dell’Obamacare. Un osservatore attento come Dimon ne ha tratto la conclusione che la riforma fiscale sarà pronta bene che vada tra un anno e in un anno tante cose possono accadere. È vero, ma la camera bassa lavorerà in parallelo sulle due riforme e l’impalcatura del piano fiscale sarà pronta prima di settembre.
Il secondo caveat è che resta da superare l’opposizione del senato. Per questo si agirà su tre fronti. Il primo sarà quello di fornirgli un testo revenue neutral, senza espansione del disavanzo, togliendo ai democratici l’appiglio legale per l’ostruzionismo. Il secondo sarà la moral suasion che Trump eserciterà sui senatori repubblicani riottosi, offrendo loro infrastrutture nei loro collegi. Il terzo fronte sarà nei confronti delle lobby della distribuzione commerciale e delle raffinerie, danneggiate dalla riforma.
Il terzo caveat è che un aumento anche una tantum dell’imposizione fiscale sui consumi (anche se limitato ai consumi importati) può produrre inizialmente stagflazione e anche recessione, come ha dimostrato la recente esperienza giapponese.
Il quarto caveat è che l’entusiasmo dei mercati dovrà confrontarsi fra poche settimane con le elezioni francesi, dove le novità continuano a prodursi a ritmo elevato. Notiamo qui per inciso e con interesse il programma fiscale di Macron, al momento il favorito. Macron vuole tagliare le tasse ma, ancora di più, vuole tagliare radicalmente spesa pubblica e disavanzo. Ne tenga conto chi in Italia sogna un asse europeo Schulz-Macron per potere continuare a spendere in deficit.
Pur con tutti questi caveat la reazione positiva di borse e dollaro al nuovo quadro ci sembra giustificata. L’impasse politica che sembrava profilarsi in America avrebbe giustificato un consolidamento delle borse che però ora è rinviato a data da destinarsi. I mercati a un certo punto si fermeranno, ma se in Francia non ci saranno sorprese non ci sarà bisogno di correzioni significative. L’atteggiamento continuerà ad essere di attesa fiduciosa.
Un settore al riparo dalle incertezze sulla riforma fiscale è quello bancario, che trarrà comunque beneficio dalla deregulation e dall’aumento dei tassi d’interesse.