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Trump e Xi Jinping, la cena delle beffe e il caso Huawei

FIRSTonline

In un’atmosfera quasi surreale e dopo la scossa di terremoto che si era avvertita anche a Buenos Aires durante i lavori del G20, l’ormai ex Presidente messicano Pena Nieto è riuscito insperatamente a firmare il nuovo USMCA. L’accordo sostituisce il vecchio NAFTA come trattato Commerciale tra Messico, Canada e Stati Uniti d’America, con grande soddisfazione di Donald Trump per l’esito di questa rinegoziazione che rappresenta un vero successo anche per il settore primario americano. Dei tre Presidenti, sulla carta quello canadese avrebbe dovuto essere il meno soddisfatto, ma il suo ineffabile sorrisino faceva presagire colpi di scena che di fatto non sono mancati.

E mentre gli sherpa delle delegazioni messicana e canadese già festeggiavano amabilmente a margine dei lavori del meeting principale, quelli americani e cinesi avevano il loro da fare a organizzare nei minimi particolari la cena che doveva chiarire una volta per tutte agli occhi del mondo che non ci sarebbe stata nessun remake della guerra fredda tra Cina e Usa e che le trattative per evitare una recrudescenza della guerra commerciale erano fattive e concrete.

La cena di lavoro (così definita nel comunicato ufficiale per distinguerla da una libagione qualsiasi e per accantonare le polemiche sugli stereotipi alimentari cinesi esacerbate dagli spot improvvidi di Dolce & Gabbana) doveva sancire il rinvio dei superdazi americani su 200 miliardi di importazioni dalla Cina a fronte di un minore accaparramento del knowhow tecnologico sulla proprietà intellettuale americana in generale (e sul 5G in particolare) operato sistematicamente dai cinesi.

Lo scontro commerciale già aveva reso evidente un rallentamento economico globale fisiologico dopo un periodo di bonanza, facendo aumentare il VIX, primo campanello d’allarme del periodo di vacche magre e quindi di rischi recessivi. Ma Trump con la firma dell’USMC ha chiarito che non ha nessuna intenzione di piegarsi a un flagello che infici questa seconda parte del suo mandato. Anzi, il Presidente americano vuole aprire una nuova era del commercio internazionale, meno politico e più affaristico, con logiche globaliste opportunamente temperate dagli interessi nazionali, cosa che i cinesi e tutti i Paesi emergenti con loro hanno sempre perseguito sventolando la bandiera della globalizzazione come specchietto per le allodole occidentali.

La settimana prima del G20 Trump aveva attaccato Huawei per il suo ruolo cruciale nei problemi di cybersicurezza. I servizi segreti Usa pare avessero già avviato con i partner inglesi, australiani e neozelandesi un monitoraggio sul colosso delle telecomunicazioni che recentemente ha superato Apple nelle vendite di smartphone. Ma comunque il presidente cinese Xi arriva sornione a quella che sarà ricordata come “una cena delle beffe”, ancora sorridendo al pensiero dell’amico indiano, il Presidente Modi, che con il suo exploit sullo “Yoga per la pace” pre G20, con tanto di seduta condivisa con 4mila persone, non aveva certo incantato gli argentini, che ultimamente rivedono lo spettro di una crisi economica per la quale lo yoga non aiuta certo.

Voci di corridoio dicono che dell’arresto della figlia del Presidente di Huawei Xi fosse già ampiamente informato. Ma la partita commerciale era troppo importante e quindi il Presidente cinese ha raggiunto il tavolo con una sola immagine nella mente: quella della sua Statua alla celebrazione del centenario della Repubblica Popolare nel 2049, dopo i successi raccolti di “Made in China 2025”, a fianco a quella di Deng Xiaoping come il secondo padre di una potenza globale al primo posto nella classifica mondiale del Pil.

Trump è apparso decisamente più corrucciato perché sapeva perfettamente che questa cena era solo l’inizio nella costruzione di un’immaginaria linea Maginot digitale per ridurre l’arrembaggio commerciale cinese e un surplus che vede sempre eccellere i cinesi come buoni risparmiatori e consumatori più oculati e selettivi degli americani. Trump sa tutto questo e conosce le difficoltà da parte cinese di accettare un piano americano ambizioso per entità e vincoli, ma i tempi son maturi e lo strapotere di Huawei, che distribuisce orami i suoi prodotti in 170 Paesi, va fermato.

Trump e Xi cercano una tregua negoziata, non certamente la soluzione, che è ancora ben aldilà da venire e per la quale ci vorrà almeno un altro anno di colloqui e trattative.

Ed ecco che inevitabile arriva la vendetta servita fredda a fine pasto da parte di Trudeau… Neanche il tempo di riporre il tovagliolo e di spedire il primo POTUS-tweet di moderata soddisfazione per l’incontro, ampiamente concordato, che arriva la notizia dell’arresto di Meng Wanzhou – il CFO di Huawei, una delle più famose businesswoman cinesi – irrompe sul web come una tromba d’aria impazzita.

Arrestata in Canada, dove si reca abitualmente ed ha proprietà di famiglia, la figlia del Presidente di Huawei Ren Zhengfei rischia l’estradizione negli Usa, preventivamente verificata dalle solerti Giubbe Rosse guidate dal Governo di Trudeau, che ora si trova a fronteggiare le ritorsioni cinesi con l’arresto di un diplomatico canadese in Cina.

Dall’esito di una prima ottava di dicembre al cardiopalma si evincono i veri confini della guerra commerciale: uno scontro sulla supremazia tecnologica che vede coinvolti i temi ed i settori di investimento più sensibili e legati direttamente allo sviluppo delle applicazioni di intelligenza artificiale, con priorità al Fintech, al Legaltech e alla cibersecurity.

Le accuse di violazione delle sanzioni iraniane da parte di Huawei sono chiaramente strumentali: anzi, fanno gioco a Xi per accorciare le briglie al colosso delle tlc. Intanto, l’allarme lanciato sul Guardian dal Capo dell’MI6 contro la penetrazione di Huawei nelle infrastrutture delle telecomunicazioni dei paesi anglosassoni nasconde il vero timore degli alleati di Trump.

Il limite di protocollo sul veto all’arresto di uomini d’affari stranieri che solo la Turchia aveva avuto il coraggio di infrangere è un fatto che porterà a inevitabili ritorsioni, perlomeno per propaganda politica. Ma i colloqui riprendono: si riparte dal capitolo agricoltura, anche per l’esigenza pressante dei due contendenti di far passare l’attuale situazione come una tempesta in un bicchier d’acqua.

In fondo, i cinesi non hanno ancora le spalle abbastanza forti, né uno yuan sufficientemente rappresentativo delle riserve internazionali mondiali per potersi permettere un attacco al Re Dollaro senza dissanguare le proprie riserve di biglietti verdi (che pure sono ingenti). Trump si aggiudica il primo set, ma si sa: le partite di Ping Pong possono durare molto a lungo. E i giocatori cinesi restano i migliori al mondo.

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