A parte Messico e Venezuela, per le note questioni sull’immigrazione, Donald Trump non ha quasi mai nominato l’America Latina nella campagna elettorale che lo ha portato ad essere di nuovo eletto presidente degli Stati Uniti. Eppure si tratta di una parte di continente enorme, praticamente tutto a parte gli stessi Usa e il Canada, e sul quale Washington ha da sempre un’influenza politica, economica e culturale. Tuttavia tra la Casa Bianca e l’America dal Messico in giù si preannunciano scintille, dal 20 gennaio in avanti. Salvo che con il presidente argentino Javier Milei, Trump non ha particolari affinità con nessuno dei leader dell’area e anzi con il Brasile, importante partner commerciale e ottava economia al mondo, ci sono già state scaramucce.
Trump e Musk: rapporti tesi col Brasile
Quest’anno infatti si è consumato un braccio di ferro tra Elon Musk, ormai ideologo del trumpismo e ministro in pectore, e le istituzioni brasiliane, che hanno prima multato e poi oscurato X nel Paese, firmando pure un accordo con la ina per Internet via satellite mentre l’ex presidente Bolsonaro aveva dato il via libera a Starlink, altra azienda della ricca scuderia che fa capo al patron di Tesla. La situazione si è sbloccata pochi mesi fa con la riattivazione di X, ma i rapporti tra i due Paesi restano tesissimi, soprattutto dopo che la moglie di Lula, Janja da Silva, in occasione dell’ultimo G20 di Rio de Janeiro a novembre ha apertamente insultato Elon Musk.
Più recentemente ci ha messo il carico anche lo stesso Trump, che in una conferenza stampa a Mar-A-Lago ha spiegato per l’ennesima volta la sua strategia sui dazi citando proprio il Brasile come esempio di Paese da colpire, dato che secondo il tycoon i lusofoni “applicano dazi eccessivi sui prodotti statunitensi, e dunque riceveranno in cambio lo stesso trattamento”.
Economist: cosa significa il ritorno di Trump per l’America Latina
Del rapporto tra Washington e l’America Latina dopo l’elezione di Trump si è occupato, a 360 gradi, anche l’Economist, in un articolo dal titolo “What Donald Trump’s return means for Latin America”, firmato dalla corrispondente a Città del Messico Sarah Birke. Il tema principale rimane quello dei migranti: la stragrande maggioranza delle persone che Trump dice di voler rimpatriare sono latinoamericani. Degli 11 milioni che risiedono illegalmente negli Stati Uniti, oltre 4 milioni sono messicani, 2 milioni provengono dall’America Centrale, oltre 800.000 dal Sudamerica e 400.000 dai Caraibi. “I Paesi latinoamericani farebbero fatica ad assorbirli – scrive l’Economist -. E le loro economie subirebbero un duro colpo dalla perdita delle rimesse, che costituiscono il 20-25% del Pil in Paesi come El Salvador, Guatemala e Honduras”.
Dal nearshoring al reshoring
C‘è poi l’economia, appunto. Il presidente uscente Joe Biden aveva insistito molto sul nearshoring, cioè sul riportare le aziende americane “in zona”, se non in territorio Usa almeno in Canada o in Messico. Proprio il Paese latino ne ha beneficiato, accogliendo diverse aziende a stelle e strisce e tornando ad essere il primo partner commerciale degli States, scalzando la ina.
Ora però Trump, sostiene il giornale finanziario, più che nearshoring vorrebbe fare reshoring, cioè riportare tutti gli investimenti all’interno dei confini nazionali. E il Paese più colpito sarà proprio il Messico, che invece sperava di confermarsi il principale beneficiario degli sforzi delle aziende negli Stati Uniti per separarsi dalla Cina, come auspicato del resto dallo stesso tycoon durante la sua prima presidenza. La postura più “muscolare” di Trump mette a rischio anche l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, da lui stesso negoziato fino a quattro anni fa e che dovrebbe entrare in vigore nel 2026. Il Messico potrebbe essere duramente colpito anche dai tentativi del prossimo presidente americano di arginare l’afflusso di fentanyl, una droga prodotta dalle gang di latinos ed esportata a Nord, che ha ucciso circa 75.000 americani nel 2023. Trump ha persino parlato di “bombardare i laboratori di droga” delle gang.
Chi beneficerà del ritorno di Trump?
In America centrale il leader di riferimento, per lo meno dal punto di vista politico e comunicativo, potrebbe invece rilevarsi Nayib Bukele, presidente di El Salvador e famoso per la stretta contro la criminalità, che ha reso il suo Paese quello col più alto tasso di popolazione carceraria dell’area. Ovviamente, come detto, non mancheranno le sinergie nemmeno con Milei: anzi l’argentino ha già detto di voler replicare con gli Usa l’accordo di libero commercio firmato dal Mercosur con l’Unione europea, e punta su Trump per ottenere un ulteriore prestito da 15 miliardi da parte del Fondo Monetario Internazionale, che ha sede a Washington. Per quanto riguarda tutti gli altri, si preannunciano tempi duri soprattutto per Cuba e per il Venezuela, mentre con il Brasile – fa notare l’Economist – i rapporti sono tesi “ma se la Casa Bianca si concentrasse come annunciato sul piano ‘America First’, a beneficiarne potrebbe essere indirettamente pure Lula, che approfittando del disinteresse statunitense rafforzerebbe la sua leadership nell’area e nel Sud del mondo”.