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Trump e la politica dei dazi, Confindustria lancia l’allarme: impatti devastanti per l’Italia, avviare trattative

Pixabay

Mentre Trump annuncia “il grande giorno dei dazi reciproci”, il Centro Studi di Confindustria (Csc) lancia l’allarme: la America First Trade Policy si prepara a diventare ancora “più aggressiva e imprevedibile” rispetto al primo mandato. I dazi potrebbero essere solo l’inizio di una guerra commerciale che rischia di rimodellare completamente la geografia degli scambi mondiali, con implicazioni significative per l’Europa e, in particolare, per l’Italia. Se da un lato i rischi sono concreti, dall’altro non mancano opportunità che potrebbero emergere da questi nuovi equilibri globali. Per il Csc, l’Europa (inclusa l’Italia) deve essere pronta a rispondere con scelte strategiche che possano determinare la sua competitività futura.

L’escalation dei dazi: una nuova fase della politica commerciale

Secondo il Csc, la nuova fase della politica commerciale di Trump potrebbe dare il via a un’escalation protezionistica capace di cambiare le regole del commercio globale. Gli Stati Uniti, infatti, non si concentrano più solo sul commercio: la loro politica ingloba temi cruciali come la sicurezza nazionale, la difesa dell’industria americana e il rafforzamento delle tecnologie emergenti, in un contesto di crescente competizione con la Cina.

Come già accaduto in passato- spiega il Csc – i dazi si scaricheranno interamente sui consumatori, aumentando i prezzi e comprimendo i margini delle imprese. Questa dinamica penalizzerà soprattutto i consumatori, ma metterà anche sotto pressione paesi come l’Italia, che potrebbero vedere i loro prodotti colpiti da aumenti tariffari.

L’Europa sotto pressione: la necessità di trattare con gli Stati Uniti

Il Centro Studi di Confindustria evidenzia che “sarà cruciale avviare trattative con l’amministrazione Trump per conciliare le esigenze reciproche”. La relazione economica tra Europa e Stati Uniti, storicamente solida, potrebbe subire dei colpi significativi. Se l’Europa non riuscirà ad adattarsi prontamente alle nuove sfide, rischia di perdere terreno. In questo scenario, i capitali potrebbero riversarsi negli Usa, un fenomeno “già in corso”, sottolinea il Csc. La chiave per l’Europa sarà adottare politiche industriali più efficaci e ridurre la complessità burocratica che spesso frena l’innovazione.

Dazi, settori a rischio: i numeri non mentono

L’Italia è particolarmente vulnerabile. Secondo il Csc, l’export italiano è più esposto alla domanda statunitense rispetto alla media europea. Infatti, il 22,2% delle esportazioni italiane verso paesi extra-Ue è destinato agli Stati Uniti, contro il 19,7% della media europea. Questo la rende particolarmente sensibile agli effetti di nuovi dazi e ritorsioni. I settori a rischio sono:

  • Bevande: con una quota del 39% dell’export italiano di bevande diretta verso gli Usa, questo settore potrebbe subire un impatto negativo significativo.
  • Autoveicoli e mezzi di trasporto: il 30,7% delle esportazioni italiane di autoveicoli e il 34% degli altri mezzi di trasporto sono destinati al mercato a stelle e strisce, rendendo questi settori altamente vulnerabili.
  • Farmaceutica: con una quota pari al 30,7%, il settore farmaceutico italiano è tra i più esposti, con potenziali danni dovuti a un incremento dei costi e a una diminuzione delle esportazioni.

Gli Stati Uniti: un partner strategico, ma con rischi in agguato

Nonostante i rischi, gli Stati Uniti restano un partner strategico cruciale per l’Italia. Nel 2024, infatti, l’export italiano verso il mercato americano ha raggiunto i 65 miliardi di euro, con un surplus commerciale di circa 39 miliardi. Questo rapporto ha avuto un ruolo decisivo nel sostenere la crescita dell’export italiano, soprattutto dopo la pandemia, rendendo gli Usa una destinazione chiave per le esportazioni e un terreno fertile per gli investimenti diretti.

Gli investimenti italiani negli Stati Uniti ammontano a quasi 5 miliardi di euro all’anno, rappresentando il 27% del totale e facendo degli Usa la principale destinazione degli investimenti italiani all’estero. Le multinazionali americane in Italia, dal canto loro, sono le più numerose, occupando oltre 350mila persone nel 2022 e contribuendo in maniera significativa al valore aggiunto nazionale e alla ricerca e sviluppo.

Tuttavia, emerge un dato preoccupante: l’Italia invia annualmente quasi 5 miliardi di euro verso gli Stati Uniti, mentre gli investimenti americani in Italia si fermano a soli 1,5 miliardi. Questo deflusso netto di capitali evidenzia la limitata attrattività del mercato italiano per gli investitori statunitensi, nonostante la forte presenza di multinazionali Usa nel nostro Paese.

Le opportunità: saper guardare oltre il rischio

Oltre i rischi, il Csc sottolinea che questa nuova politica commerciale potrebbe aprire anche opportunità per l’Italia e l’Europa. Con il decoupling (la crescente separazione tra le economie di Stati Uniti e Cina), si liberano spazi di mercato in cui l’Europa potrebbe guadagnare terreno, sfruttando una minore competizione asiatica. Settori come il lusso e gli alimentari potrebbero prosperare grazie alla riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali e al possibile spostamento di consumatori e investimenti verso l’Europa.

Inoltre, l’export italiano potrebbe trovare nuove nicchie in settori come le tecnologie avanzate e i servizi finanziari, lontani dalla competizione con Pechino. Se la politica di Trump dovesse incentivare il ritorno delle filiere produttive nel suo Paese, le imprese europee, incluse quelle italiane, potrebbero diversificare le proprie catene di approvvigionamento, cercando nuovi canali commerciali e rafforzando le relazioni transatlantiche. L’Europa ha quindi l’opportunità di rivedere il suo modello produttivo, attrarre investimenti nei settori strategici e riassumere il ruolo di leader tecnologico in un contesto globale sempre più competitivo.

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Categories: Economia e Imprese