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Troppe illusioni su dismissioni immobiliari e privatizzazioni

L’assenza di realismo non aiuta a fermare il declino. L’utopia è infatti il miglior compagno del “ nullacambia”, almeno da Tomasi di Lampedusa in poi – E il realismo non ispira un articolo pubblicato sul sito Noise from Amerika ad opera di Sandro Brusco e ripreso dalla neonata associazione “fermare il declino”.

Nel condivisibile intento di dimostrare che “Un altro rapporto debito/PIL è possibile” si afferma che “l’obiettivo di 105 miliardi di dismissioni immobiliari complessive in 6 anni non dovrebbe essere impossibile da raggiungere”. Pur con il beneficio dell’uso del condizionale, si tratta di una previsione, a mio parere, assolutamente irrealistica. Tale giudizio si basa su tre elementi:

a) L’esperienza storica; come brillantemente ricordato da Mario Sarcinelli in un convegno al CNEL del luglio scorso, quell’esperienza indica che sarebbe impossibile la realizzazione di un programma di dismissioni di soli 5 miliardi l’anno (ben inferiore ai 35 ipotizzati da Brusco). L’esperienza storica è il termometro di un amministrazioneche reagisce con cipiglio burocratico alle riduzioni di perimetro (peraltro ignote nelle sue esatte dimensioni) e con lentezza, trovando facile sponda in norme urbanistiche (emanate dai diversi livelli dell’amministrazione) complesse e aggrovigliate.

b) Lo stato fortemente recessivo del mercato immobiliare dove le compravendite si sono fortemente ridotte (secondo i dati del Demanio -30% circa rispetto al2006 nel residenziale). E chi li dovrebbe comprare i 35 miliardi all’anno? Non ci sono i compratori, e tanto più con un rendimento assai contenuto quale quello oggi offerto dagli immobili pubblici, come si legge anche dai commenti sullo stesso Noise from Amerika.

c) Una sovrastima delle dimensioni del mercato, a prescindere dal ciclo economico negativo; si consideri che le dismissioni pubbliche, per l’intera Europa, sono quantificabili in 2-3 miliardi (si veda l’intervento di Antonio Guglielmi di Mediobanca al citato convegno del CNEL) ed è quindi inimmaginabile un mercato 10 volte più ampio per la sola Italia.

Anche la stima delle privatizzazioni mi sembra largamente errata per eccesso. Brusco ritiene che si possa privatizzare per 90 miliardi in tre anni. Anche qui mi baso su tre considerazioni:

a) L’esperienza storica; si tratterebbe di raddoppiare quanto realizzato nel triennio d’oro delle privatizzazioni italiane 1997-1999 quando vennero cedute azioni di imprese pubbliche per 50 miliardi di euro.

b) Il portafoglio si è impoverito rispetto ad allora e sono rimaste imprese a minore appetibilità (salvo le quote residue di ENEL ed ENI). Inoltre alcune società (è il caso di FS e di Poste) richiedono interventi non marginali negli assetti societarie nei contratti di programma e di servizio che, a giudicare da come la vicenda delle nomine all’Autorità sui Trasporti si sta svolgendo, prenderebbero assai di più dei sei mesi ipotizzati da Brusco; e anche per le imprese detenute dagli enti locali non si è ancora trovato il bandolo della matassa, che è essenzialmente giuridico-costituzionale, per obbligarli a vendere.

c) La crisi finanziaria dei mercati pone qualche problemino sulla nazionalità dei potenziali compratori, verosimilmente né europea né americana. Quale governo cederebbe l’impresa che si occupa dell’approvvigionamento energetico a un paese produttore non allineato? Suggerirei di andare a rivedere come reagì la Thatcher (sul cui credo liberale non dovrebberoesservi dubbi) quando l’azienda petrolifera del Kuwait cercò di acquisire il controllo della neo-privatizzata British Petroleum .

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