Condividi

Trimestrali Usa, risultati oltre le attese ma i tassi alti rivelano le prime crepe e il mercato se ne accorge

Le prime tre banche a mostrare i dati del secondo trimestre hanno confermato la buona tenuta, già dimostrata dagli strees test della Fed. Tuttavia sono emerse tracce di un clima incerto generato dalla combinazione di alti tassi d’interesse e frenata dei consumi, che spinge a maggiori coperture dei potenziali prestiti in sofferenza. Indicazioni in più che spingono gli investitori a pensare che la Fed non ha più scuse e a settembre deve invertire la traiettoria sui tassi

Trimestrali Usa, risultati oltre le attese ma i tassi alti rivelano le prime crepe e il mercato se ne accorge

Il tema centrale è: l’economia Usa è arrivata finalmente a quella svolta attesa da mesi? E la Fed inizierà la sua campagna di riduzione dei tassi a settembre? E’ con questa chiave che si è letto ogni singolo dato emerso questa settimana: a partire da un dato sull’inflazione, ma soprattutto, proprio a conclusione della settimana dall’avvio della stagione delle trimestrali Usa con la pubblicazione dei bilanci delle big del credito: JP Morgan, City e Well Fargo. Così se l’inflazione ha mostrato un calo anche oltre le attese, i colossi bancari Usa hanno registrato buoni utili, ma i tassi alti hanno aperto le prime crepe: in ogni caso per gli investitori sono segnali che dicono che la Fed non ha più scuse per ritardare la svolta e quindi dovrà iniziare a tagliare i tassi in occasione della riunione ai primi di settembre, non senza aver fornito esplicite deduzioni tra un paio di settimane, al Fomc del 30 e 31 luglio.

La prossima settimana sarà il turno, tra le big, di Johnson & Johnson, Bank of America, Netflix, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Nel complesso saranno ben 182 le società ad esibire i conti al mercato. A quel punto gli operatori avranno più informazioni per confermare o meno la scommessa sul soft landing. Complessivamente, stando alla società specializzata FactSet, i profitti dei titoli dell’S&P 500 dovrebbero aumentare complessivamente dell’8,8% nel secondo trimestre, il massimo dal primo trimestre del 2022, con ancora in evidenza il settore tecnologico e i leader dell’intelligenza artificiale. Ma cerchiamo nelle pagine dei bilanci delle banche i primi indizi.

I conti confermano la tenuta degli strees test, ma denunciano un clima incerto

Nel complesso, bisogna dire, i dati del secondo trimestre delle grandi banche americane hanno mostrato una buona tenuta dei conti. Del resto proprio le grandi banche a stelle e strisce sono reduci dal superamento degli stress test annuali della Federal Reserve, con i quali hanno dimostrato sufficiente solidità davanti a scenari avversi, comprese gravi crisi economiche e finanziarie. Oltretutto potrebbero anche migliorare se si realizzasse quella modifica dei coefficienti patrimoniali a cui la Fed sta studiando.
Ma in tutti e tre i bilanci sono emerse tracce di un clima incerto generato dalla combinazione di alti tassi d’interesse e frenata dei consumi, che spinge a maggiori coperture dei potenziali prestiti in sofferenza. A Wall Street, subito dopo i conti, i titoli delle tre banche hanno perso terreno, con Wells Fargo la più penalizzata.

JP Morgan batte le attese spinta dall’investment banking

JP Morgan, la più grande banca americana, ha mostrato i migliori conti delle tre, battendo le previsioni nel secondo trimestre. Ha registrato ricavi per 50,2 miliardi di dollari, in rialzo del 22%, mentre le attese si fermavano a 42,23 miliardi di dollari. Battuto anche l’Eps (utile per azione) che era previsto a 5,88 mentre è emerso a 6,12%, circa un 4% in più rispetto le aspettative, con un utile netto a 18,15 miliardi, in rialzo del 25%. Tuttavia occorre considerare i guadagni straordinari per 8 miliardi, che l’istituto ha riportato, in particolare grazie ad un’operazione di conversione in azioni ordinarie della quota nel colosso delle carte di credito Visa.

L’ennesima trimestrale record però non ha alleviato le preoccupazioni del ceo di JP Morgan, Jamie Dimon, che teme un’inflazione più alta delle attese, tanto da indurlo ad accantonare 3,05 miliardi, sopra i 2,78 miliardi previsti, nell’eventualità di perdite legate ai prestiti, anche se il margine di interesse netto, la differenza tra quanto la banca incassa sui prestiti e quanto paga sui depositi, è ancora salito, del 5% a 22,9 miliardi. La cifra di una banca come JP Moragn è l’alta finanza, con il trading azionario è balzato del 21% a 3 miliardi e quello obbligazionario del 5% a 4,8 miliardi.

Dimon, che pure riconosce che “ci sono stati alcuni progressi nella riduzione dell’inflazione” e che i valori mercato sembrano presumere un “outlook benigno”, ha tuttavia espresso qualche dubbio: “Esistono tuttora molteplici forze inflazionistiche: ampi deficit fiscali, necessità infrastrutturali, ristrutturazioni del commercio globale e una rimilitarizzazione del mondo”. Ancora: “La situazione geopolitica resta complessa e potenzialmente la più pericolosa dalla Seconda Guerra Mondiale, nonostante il suo esito e l’effetto sull’economia rimangano sconosciuti». In Borsa il titolo ha chiuso ieri sera in calo dell’1,13%.

Citigroup punta sulla riduzione dei costi (-2%), profitti +10%

Citigroup, la terza banca americana per asset, alle prese con ambiziose strategie di riorganizzazione sotto la leadership della ceo Jane Fraser, ha puntato sul contenimento dei costi: i profitti sono aumentati del 10% a 3,22 miliardi, con le spese ridotte del 2 per cento. Come per JP Morgan, l’investment banking ha brillato: le entrate sono svettate del 63% a 935 milioni con investment banking a 853 milioni (+60%) e trading azionario a 1,5 miliardi (+37%). Gli utili sono in rialzo del 150% a 210 milioni e l’utile per azione è stato di 1,52 dollari, oltre gli 1,39 stimati. Il margine d’interesse netto è invece diminuito più di quanto anticipato, del 3% a 13,49 miliardi. E il titolo in Borsa ha chiuso in calo del 3,1%.

Well Fargo: utili -1%. Eps a 1,33 dollari sopra le attese, ma in borsa perde l’8%

Wells Fargo, la quarta banca americana per asset, delle tre è la banca più tradizionale e quindi più a diretto contatto con l’economia reale: gli utili del trimestre sono diminuiti dell’1% a 4,91 miliardi e ha registrato entrate per 20,7 miliardi, superiori alle attese. L’utile per azione ha toccato gli 1,33 dollari (1,29 dollari le attese), ma è sceso su base annua. Il margine di interesse netto è tuttavia sceso del 9% a 11,9 miliardi, valore inferiore alle attese (12,12 miliardi) per via dei maggiori interessi attivi pagati dalla banca per finanziarsi. Nel ridimensionare l’outlook l’istituto ha previsto un margine in calo tra l’8% e il 9% per l’intero anno. Il gruppo ha anche riportato flessioni nella domanda di prestiti aziendali. Il ceo Charlie Scharf si aspetta che la crescita dei ricavi da commissioni compensi la riduzione del margine d’interesse. Il titolo in Borsa ieri ha chiuso in calo del 7,78% .

Commenta