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Tria: la crescita non si basa sul deficit pubblico

Imagoeconomica

Se il precedente ministro dell’ Economia, Pier Carlo Padoan, aveva individuato un “sentiero stretto” lungo il quale doveva muoversi la finanza pubblica per conciliare gli stimoli alla crescita con gli equilibri del bilancio, l’attuale ministro Giovanni Tria è costretto a cimentarsi lungo un “sentiero acrobatico” di alta montagna per sostenere la crescita del Pil e continuare a tenere sotto controllo la finanza pubblica evitando il peggioramento del saldo strutturale e proseguendo la riduzione del rapporto debito/Pil. E questo va fatto non tanto perché dobbiamo sottostare alle raccomandazioni di Bruxelles ma perché dobbiamo mantenere la fiducia dei mercati, cioè dei risparmiatori internazionali e italiani che devono continuare a comprare il nostro debito pubblico.

Nel corso della sua audizione di fronte alle commissioni riunite di Camera e Senato, Tria ha messo a fuoco la sua strategia che esclude un aumento del deficit per finanziare le tante promesse elettorali fatte dai partiti che attualmente compongono la sua maggioranza, ma si basa su una “ricomposizione” più efficace della spesa e delle entrate in modo da stimolare la crescita senza mettere in discussione i già precari equilibri su cui si regge il bilancio della Stato. Il segreto sta, secondo Tria, nel bloccare ai livelli attuali qualsiasi aumento della spesa corrente in termini nominali, ed avere così maggiori risorse per sostenere gli investimenti pubblici e quelle riforme del fisco (Flat tax) e del welfare (reddito di cittadinanza) promesse in campagna elettorale.

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Tutto questo non si potrà fare immediatamente, ma predisponendo da subito un progetto da attuare progressivamente, man mano che la maggiore crescita renderà disponibili le risorse necessarie. Peraltro, il progetto dovrà essere messo a punto ed approvato in tempi brevi anche se la sua attuazione avverrà con gradualità, perché in questo modo si elimina l’incertezza che è una delle principali cause della cautela degli operatori economici che devono decidere se effettuare investimenti. Non si tratta quindi di attuare una semplice politica del rinvio, come sostengono molti osservatori esterni, in quanto il semplice rinvio farebbe aumentare l’incertezza con conseguenze negative sui mercati finanziari e quindi sulle possibilità di potenziare i tassi di crescita.

Tria ha insistito molto sugli investimenti che sono bloccati non solo dalla scarsezza di risorse finanziarie ma anche dalle carenze progettuali della PA, dal codice degli appalti ecc. Insomma, bisogna snellire rapidamente la macchina burocratica per poter avere risultati. A questi, del resto, il ministro affida il maggior peso, volto al sostegno della congiuntura, peraltro in lieve peggioramento per le ben note turbolenze internazionali.

All’Europa si chiederà uno slittamento degli obiettivi di riduzione del deficit giustificati dal rallentamento della crescita, in modo da evitare un’intonazione restrittiva della finanza pubblica. Tria non lo ha detto, ma si tratta di una flessibilità compresa da 0,5% ed un punto di PIL, cioè tra gli 8 ed i 16 miliardi.

Tutto questo sarà possibile, e basterà alla Lega ed ai 5 Stelle che avevano fatto promesse ben più ambiziose basate su uno sfondamento del deficit anche sopra il 3%? E queste idee sono state recentemente ribadite dal sottosegretario leghista Siri, e riprese timidamente nel corso del dibattito in Commissione da alcuni esponenti dei partiti di maggioranza che vorrebbero che il debito fosse garantito dalla Bce e non dal nostro governo.

Più chiaro di tutti è stato Stefano Fassina (Leu), il quale vede nel blocco della spesa corrente il rischio di grossi tagli al welfare ed ha invitato il governo a fare una politica di deficit al fine di rilanciare la crescita. E non a caso è stato l’unico a ricevere un pubblico apprezzamento da parte del presidente leghista della Commissione, Claudio Borghi.

Tria ha sostenuto di prevedere per se stesso una navigazione più tranquilla di quella del suo predecessore. Ce lo auguriamo, ma dovrà guardarsi dall’offensiva che i sovranisti scateneranno in occasione della prossima legge di bilancio.

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