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Tria in controtendenza rispetto al contratto Lega-M5S: chi vincerà?

Imagoeconomica

Si comincia a delineare la fisionomia del nuovo governo sulla politica economica, pur nella vaghezza dell’intervento del premier Conte alle Camere. Dal lato della Lega, abbiamo una linea forte di politica economica che si impernia su un taglio imponente delle imposte sul reddito e delle accise sulla benzina (questo mirato specificatamente ai tassisti e agli autotrasportatori: sic!) e sulla sfida aperta alle regole europee su bilancio pubblico e debito, con l’obiettivo non tanto mascherato di portare l’Italia fuori dall’euro, probabilmente anche dall’Ue.

Il professor Savona, che l’economia la conosce, ha chiarito nelle famose 80 slides (vedi il documento su Huffington Post Italia) che l’uscita dall’euro – con svalutazione della lira almeno del 30% – richiede l’introduzione di estesi controlli sui flussi finanziari e una sostanziosa ristrutturazione del nostro debito pubblico, per non parlare dei diffusi default dei debitori privati indebitati in euro forte di cui le slides non parlano.

Dal lato dei grillini, invece, la linea è semplicemente di dare ascolto a tutte le lamentele dell’elettorato, rimuovendo i vincoli che impediscono di soddisfarle e offrendo protezione generale non solo contro le spinte concorrenziali e il mercato, ma in generale contro ogni limite di responsabilità nei comportamenti.

Così, uno dei primi atti della Giunta Raggi fu di abolire l’obbligo di timbrare il badge sul posto di lavoro all’Atac e all’Ama, già afflitte da imponenti tassi di assenteismo. Ma ora arriva il reddito di cittadinanza per tutti i disoccupati (purché accettino di cercarsi un lavoro, ma la riforma dei centri dell’impiego richiederà anni).

Via il Jobs Act, via la Direttiva europea sui servizi; ma, in cambio, spazio ai giudici con misure sempre più penetranti contro la corruzione (via la prescrizione), poteri amplificati all’Anac (che già sta cercando di bloccare ogni discrezione amministrativa negli appalti pubblici, che finiranno per bloccarsi del tutto), class action a gogo per rimborsare i poveri utenti delle public utilities, rimborso pieno dei risparmiatori che hanno investito in banche fallite.

E poi no Tav, no Tap e no Vax, chiusura “progressiva” dell’Ilva, nazionalizzazione dell’Alitalia, che perde denaro a bocca di barile e da sola non può sopravvivere, dunque paghi il contribuente. Fino alla partecipazione dei parlamentari del territorio alle riunioni al Mise per la gestione delle crisi aziendali. Che cosa succederà con tali promesse alla produttività e agli investimenti privati è facile prevedere.

L’annunciata semplificazione delle regole si sostanzia in un condono generalizzato delle pendenza fiscali (peraltro con promesse di entrata fuori dal mondo: poiché l’ammontare noto di quelle pendenze è circa 50 miliardi, anche immaginando una partecipazione totalitaria allo schema, come potrebbe mai la loro liquidazione al 15 o anche al 25% produrre entrate per 50 o 60 miliardi?) insieme all’eliminazione di molti strumenti di accertamento, in un paese in cui il tasso di evasione dell’Iva è stimato al 40% e l’economia sommersa tra il 15 e il 20% del Pil.

E poi, ciliegina sulla torta, una controriforma delle pensioni dal costo variabile tra i 5 e i 30 miliardi, secondo quanto si estenderanno i benefici. I quali riguardano solo i vecchi, paghino i giovani ancora di più. Non può stupire dunque che lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi continui a salire; pesa come un macigno il messaggio iniziale anti-euro, finora smentito senza convinzione.

Ma c’è finalmente una buona notizia: in una estesa intervista al Corriere di ieri il professor Tria, neo-ministro dell’economia, delinea politiche di riforma e di responsabilità finanziaria in perfetta negazione delle posizioni dei suoi azionisti politici. Se tiene, ci possiamo salvare.

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