MESSAGGIO DI FINE ANNO – L’emergenza sociale, l’urgenza delle riforme e la durata (limitata) del suo mandato alla base del messaggio del Capo dello Stato alla nazione – Napolitano chiede che finisca l’insensata lotta di “tutti contro tutti” e che si accelrino invece le riforme – “Piena sintonia” di Letta e scontata opposizione di Berlusconi e Grillo
Il primo messaggio del secondo mandato di Giorgio Napolitano si è imperniato su tre punti: la questione sociale sempre più dolorosa e più estesa, con la quale stanno facendo i conti gli italiani; indispensabilità delle riforme a cominciare da quella elettorale; senso e durata del secondo mandato accettato dopo l’invito delle forze politiche più rappresentative. Il tutto dopo aver definito il 2013 “anno tra i più pesanti e inquieti” della nostra storia politica.
Già negli ultimi messaggi del precedente settennato Napolitano aveva parlato della drammaticità della questione sociale come conseguenza di una difficilissima situazione economica. Questa volta è tornato a farlo partendo dalla lettura di tre e-mail di cittadini che si sono rivolti direttamente al Quirinale. Anche questo è un segno evidente delle difficoltà che gli italiani incontrano a far sentire la propria voce. Dietro le lettere tre problemi quello di un imprenditore che vuole essere messo in condizione di continuare a fare la sua parte, ma che chiede alla politica di fare altrettanto; quello di quei lavoratori che attorno ai 45 anni hanno perso il lavoro e sono troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchi per trovare spazio nel mercato del lavoro: e infine il drammatico appello di Veronica, una ventottenne di Empoli che afferma: “Io credo nell’Italia, ma l’Italia crede ancora in me”? Domanda tremenda alla quale una risposta può darla soltanto una politica credibile e forte. E non certo quel “tutti contro tutti che lacera il tessuto sociale”. Qui il riferimento del capo dello Stato è chiaro e riguarda anche “le ingiurie calunnie e minacce, dalle quali è ben deciso a non farsi “intimidire”.
E qui viene il problema delle riforme perchè, spiega il presidente della Repubblica, per superare passaggi difficili e dolorosi servono “lungimiranza e continuità nelle scelte di governo”. E naturalmente servono le riforme istituzionali a cominciare da quella elettorale. Per fare queste anche le opposizioni troveranno lo spazio per far sentire la propria voce. Come? Naturalmente operando nel Parlamento e mettendo da parte le tentazioni della logica del “tutti contro tutti”.
Infine Napolitano ha parlato anche del senso del suo secondo mandato definito “incarico a termine di non lungo periodo”. Nessuna esplicita minaccia di dimissioni, ma ferma riproposizione dei concetti già espressi in Parlamento dopo aver accettato la rielezione. Concetti per i quali il presidente della Repubblica si è ancora messo a disposizione del Paese per contribuire a superare una difficilissima crisi politica per la quale però ha bisogno che proprio quelle forze politiche che lo hanno invitato ad accettare devono fare fino in fondo la propria parte. Cosa che in questi primi mesi della Legislatura non è certo avvenuta.
Significativo anche se prevedibile il fatto che nel suo discorso di fine anno, Napolitano abbia doverosamente evitato ogni riferimento alla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, avvenuta in conseguenza di una sentenza definitiva della magistratura. Così come, a proposito della riforma della giustizia il capo dello Stato sia tornato a chiedere una sluzione alla drammatica condizione del nostro sistema carcerario. Questione peraltro al centro di un suo formale messaggio alle Camere.
Le prime reazioni delle forze politiche: il presidente del Consiglio Enrico Letta ha parlato di “totale sintonia” con il capo dello Stato. Forza Italia invece ha visto nelle parole di Napolitano soltanto retorica ed è tornata chiedere di andare subito al voto. Come del resto il leader del movimento 5 stelle Beppe Grillo che torna, in una sorta di contromessaggio dal suo blog, a riproporre minacce di impeachment e vuole andare al voto con il Mattarellum, per rinviare al nuovo Parlamento la definizione di una nuova legge elettorale.