Il talento di Mr. Iger
Potrebbe essere proprio Bob Iger a sfidare Donald Trump nelle presidenziali del 2020. Il nome di Iger circola sempre più frequentemente e circola a ragion veduta. Il capo della Disney viene dalla società civile, è un leader globale, è nato a Long Island da una famiglia ebraica ma ha lavorato sulla costa occidentale, è serenamente sposato con Willow Bay ex modella e giornalista televisiva, è empatico e rassicurante, sa comunicare bene da ex manager televisivo e infine ha quel pizzico di cattiveria che è mancato a Barak Obama, una presidenza che ha spianato la strada al trumpismo. La Disney, che Iger guida da 15 anni, promuove tematiche progressiste da oltre mezzo secolo ed è una delle più ammirate istituzioni americane nel mondo. Iger, insomma, ha l’identikit democratico perfetto con molte affinità, anche sul piano fisico, all’archetipo kennediano.
Steve Jobs, che non era certo facile con le persone e aveva furiosamente litigato con il predecessore di Iger a proposito di Pixar, si trovò benissimo con Bob. Fu proprio lui uno dei primi a sapere direttamente da Jobs della malattia che aveva colpito il co-fondatore di Apple. Nel 2006 Pixar entrò in Disney con il tappeto rosso e la famiglia Jobs-Powell divenne il maggior azionista di Disney. Nel 2011, dopo la scomparsa di Jobs, Tim Cook chiamò Iger a sedere nel consiglio di amministrazione della Apple, nel quale siede ancora, malgrado che la Apple si avvii ad essere un competitor di Disney nella guerra di tutti contro tutti.
Le qualità caratteriali di Iger sono pari a quelle manageriali. Alla Disney, che guida dal 2005, ha fatto delle cose importantissime, restituendo alla patria di Topolino lo scettro della regina dell’industria dei media e del divertimento. Il suo ultimo colpo è stato l’acquisizione, dalla famiglia Murdock, della XXI Century Fox, un gigante dell’intrattenimento e concorrente della Disney. Il mandato di Iger scadrà nel 2019 e ancora non si conosce il successore, anche se alcuni pensano al giovine James Murdock, ma non c’è niente di certo come ha chiarito lo stesso Iger che quanto a successori preferisce sorvolare.
La sfida finale di Iger: fare della Disney una Netflix
Senza addentrarci oltre sul lavoro di Iger alla Disney, basta dire che le azioni del gruppo sono passate dai 24 dollari ad azione dell’aprile 2005 (quando Iger subentrò all’arcigno Michael Eisner) ai 107 dollari ad azione della fine del 2017. Un grande balzo del 345% che avrà deliziato Roy Disney, nipote di Walt, in perenne polemica con il management di Disney, ma grande sponsor di Iger.
Proprio nell’ultimo scorcio del 2017 Iger ha lanciato la sfida più ambiziosa e importante della sua carriera perché riguarda il futuro stesso del gruppo che ha guidato per quasi 15 anni. La sfida è quella di trasformare, in due anni, la Disney in una Netflix. Ormai è chiaro che il business dei media ruoterà intorno allo streaming; oggi è questo il modello di business vincente. Come Netflix si è trasformata da un’impresa meramente tecnologica specializzata nella distribuzione dei contenuti di terze parti in un produttore di contenuti premium, così Disney mira a trasformarsi in una società tecnologica: insieme alla produzione dei contenuti provvederà direttamente alla loro distribuzione per mezzo di una propria piattaforma di streaming.
Una sfida immensa, sulla cui riuscita sono in molti a nutrire dei dubbi. Molti di questi sono giustificati: staccando la spina a Netflix, Disney si priva di un cospicuo flusso di entrate che non sarà facile sostituire nel breve periodo con un servizio proprietario nuovo di pacca. Un altro interrogativo è: riuscirà la Disney a costruire un servizio prettamente tecnologico che riesca a eguagliare la reputazione e l’eccellenza nel campo della produzione di contenuti? Si tratta di una mutazione genetica per una società media, qualcosa che non è ancora riuscito a nessuna impresa fuori dal perimetro costituito dalle società native di Internet.
Iger non sembra avere questi dubbi e ha voluto spiegare la ratio di questa decisione cruciale in un intervento, dal titolo Storytelling turns page, pubblicato sul numero di fine anno dell’Economist. Siamo lieti di offrire questo intervento in traduzione italiana. Al di là del suo valore intrinseco costituisce una sorta di sigillo di ceralacca “reale” su uno stato di fatto: il futuro è lo streaming.
Media: molto più di una disruption
Lo spettacolo è sempre stato uno sport competitivo, una gara per conquistare il cuore e la mente delle masse. La rapida evoluzione della tecnologia ha trasformato quella che era una partita tra gentiluomini in una gara in cui le tradizionali regole d’ingaggio sono venute meno. Il parapiglia generale che ne è risultato ha prodotto uno dei periodi più stimolanti e vivaci nella storia dell’industria dei media, generando delle opportunità senza precedenti.
Le barriere d’ingresso, un tempo insormontabili, sono scomparse. Sul mercato si sono affacciati un’infinità di concorrenti e di creatori di contenuti che hanno alzato la posta in gioco e portato l’innovazione in ogni angolo dell’industria. I modelli di business consueti, che hanno guidato l’industria per generazioni, stanno rapidamente declinando. Le partnership consolidate tra creatori e distributori sono state messe a dura prova e ridefinite lungo linee nuove che si fa fatica a riconoscere.
Mentre le imprese media stanno ancora dibattendo se sia il contenuto o la distribuzione il re, la tecnologia digitale ha completamente cambiato i comportamenti, le aspettative e il potere dei consumatori rendendoli l’autorità ultima a cui perfino il re deve inginocchiarsi.
Oggi i consumatori hanno voce in capitolo sul prezzo, sulla piattaforma, sul packaging, sui tempi di commercializzazione. Per le imprese media non è più sufficiente tenere in considerazione le mere preferenze dei consumatori. Sono obbligate ad andare incontro alle loro richieste, ad anticipare i loro bisogni il cui peso aumenta con l’aumentare del progresso tecnologico. Tutto ciò esige una più profonda interazione e una accresciuta relazione personale con ciascun consumatore con cui si entra in contatto.
Qualcosa di completamente nuovo
Le prime linee dell’industria dei media hanno iniziato a intravedere i segni di questo passaggio sistemico di potere già dieci anni fa, quando i consumatori hanno iniziato a vedere contenuti di qualità sugli schermi dei loro computer e dei loro dispositivi mobili. Noi siamo stati tra quelli e subito abbiamo deciso di dare i nostri contenuti a quelle piattaforme, indifferenti alle critiche e al dileggio che ne è seguito. Con il passare degli anni il cambiamento si è esteso ai media tradizionali, ma la cosa più sorprendente non è tanto la dimensione di questo cambiamento, ma il ritmo indiavolato con cui avviene e continua a verificarsi più rapidamente di quanto si possa ragionevolmente prevedere.
Una volta si usava il termine “disruption” per descrivere questo processo, ma oggi questo termine appare la reliquia pittoresca di un’epoca andata, quando c’era un inizio e una fine delle cose, un prima e un dopo. Quello che adesso stiamo vivendo è uno stato di cambiamento perpetuo.
La tecnologia è sempre stato il catalizzatore delle trasformazioni dei media e dello spettacolo. Il fondatore della Disney era affascinato dalla capacità della tecnologia di espandere il mondo delle narrazioni, rimuovere i limiti alla creatività e al commercio e aprire un nuovo orizzonte di vaste opportunità. Quando mezzo secolo fa gli fu chiesta una previsione sul futuro, Walt Disney rispose che era già difficile prevedere quello che sarebbe successo di lì a due anni.
Una costante nella nostra industria è stata la continua ricerca di grandi narrazioni. Oggi questa ricerca è ancora più vorace grazie all’innovazione tecnologica arrivata a un punto che neppure Walt avrebbe potuto immaginare. Noi siamo in prima fila a osservare e a sperimentare tutto questo.
Lo streaming come mezzo di relazione con il consumatore
Negli anni a venire il successo o il fallimento di una compagnia media sarà sempre più determinato dalla capacità di creare una diretta e bilaterale relazione con i consumatori. Questo ha spinto Disney a dotarsi dei mezzi per distribuire i suoi contenuti di qualità a una audience di massa. Questa scelta ci dà la libertà e la flessibilità di diminuire la nostra dipendenza dai distributori tradizionali e ci consente di impegnarsi direttamente con i consumatori attraverso i servizi di streaming gestiti direttamente da noi. Sfruttando la forza del nostro brand, nel 2018 lanceremo un servizio a marchio ESPN per rendere accessibili dai device mobili migliaia di eventi sportivi in diretta. Un servizio più vasto e completamente a marchio Disney sarà introdotto nel 2019.
Siamo convinti che i brand forti e i franchaise faranno inevitabilmente meglio di altri in questa epoca di esplosione della proprietà intellettuale. È un imperativo creare un ambiente in grado di catalizzare l’attenzione dei grandi narratori attraverso contenuti di cui siamo proprietari e che vogliamo portare ai consumatori in modo coinvolgente e accattivante.
Anche la comodità giocherà un ruolo importante. I consumatori di oggi non tollerano più alcuna difficoltà d’utilizzo, perdono subito la pazienza quando ne incontrano anche una piccola. Interfacce eleganti, intuitive non sono mai state così importanti come adesso e lo stesso si può dire per l’utilizzo dei contenuti in una situazione di mobilità o quando si debba reperire velocemente un contenuto. I tecnologi capiscono benissimo questo stato di cose, mentre i distributori tradizionali fanno fatica a prenderne consapevolezza a tal punto che per loro questa disattenzione diventerà uno svantaggio competitivo che li potrebbe consegnare all’irrilevanza.
Siamo in un periodo straordinario per i media. La nostra industria si è trasformata in un modo che non è ancora possibile comprendere appieno. Per la prima volta nella storia abbiamo i mezzi per costruire una relazione diretta con ogni singolo consumatore. Il futuro è costruito sul bisogno singolo moltiplicato per centinaia di milioni di consumatori.