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Transnistria: Putin l’ha messa nel mirino e punta a conquistarla per due ragioni. Ecco tutta la sua storia

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È vero che Putin ora vuole anche la Transnistria, quella striscia di Moldavia al confine ovest dell’Ucraina? E per farci che cosa?

Che sia vero lo ha confermato Rustam Minnekayev, comandante ad interim del Distretto militare centrale russo, il quale ha ricordato alcuni giorni fa che “il controllo sull’Ucraina meridionale è un’altra via d’accesso alla Transnistria, dove pure si evidenziano episodi di discriminazione contro i residenti russofoni”. Dichiarazione che ovviamente ha allarmato la Moldavia che considera la regione parte integrante del suo territorio, costringendo la Presidente del Paese, Maia Sandu, a richiamare nella capitale Chisinau l’ambasciatore russo per chiedere spiegazioni. Quanto ai motivi di interesse di Putin verso la regione essi sono di due tipi, geopolitici ed economici. 

Transnistria: i due motivi alla base dell’interesse di Putin

Per comprendere i primi è sufficiente guardare una cartina: con la Transnistria il cordone sanitario russo attorno all’Ucraina sarebbe completato. A Est si sigilla la frontiera acquisendo il Donbass; a Sud si espelle Kiev dal Mar Nero e dall’Azov, avendo così il  Mediterraneo a portata di flotta; a Ovest ci si protegge incorporando appunto la Transnistria. 

“Operazione militare speciale” conclusa con successo: Kiev è mutilata e isolata, Mosca è garantita da ogni vento liberale che spirasse da Ovest. Bingo. 

Anche sotto il profilo economico per Mosca l’annessione della Transnistria sarebbe un’opportunità.  

Più o meno grande quanto l’Abruzzo, con meno di 500mila abitanti, questa regione è la parte più industrializzata della Moldavia, con un sistema di imprese ereditato dall’Unione sovietica ancora interessante, sebbene vecchio e inquinante. 

Di questa eredità, per esempio, fanno parte le centrali che forniscono elettricità a tutta la Moldavia e la fabbrica di munizioni di Tighina (nota anche come Bender) che all’epoca dell’Unione sovietica era il più importante arsenale e deposito di materiale bellico in Europa, e quella dell’acciaio di Ribnita, che da sola ancora oggi dà lavoro a metà degli abitanti. Per curiosità, citiamo anche la fabbrica di distillazione dei liquori, la Kvint,  marchio storico (fu fondata nel 1897) talmente popolare che è finito su una moneta. E soprattutto la Sheriff, una holding di cui fanno parte, fra l’altro, una catena di supermercati e di distributori di carburante, una casa editrice, una distilleria, un casinò, un canale televisivo e un’agenzia pubblicitaria. La Sheriff appartiene a Vladimir Smirnov, figlio maggiore del premier Igor Smirnov.  

La storia della Transnistria e i legami con la Russia

Dal punto di vista militare la faccenda Transnistria sarebbe anche facile da regolare, visto che da oltre 30 anni le truppe russe sono a guardia della secessionista regione moldava. L’aveva riportata sotto l’influenza russa, nel 1992 il più amato dei generali degli anni Novanta, Aleksandr Lebed, l’unico che avrebbe potuto fare ombra a Putin, morto nel 2002, in un misterioso incidente di elicottero proprio mentre il nuovo zar iniziava la sua ascesa. 

Lebed era diventato l’eroe della nuova Russia nell’agosto del ’91, quando fermò il golpe contro Gorbaciov, impedendo che le truppe corazzate, ai suoi ordini, sparassero contro la Casa Bianca e i soldati arrestassero Eltsin e i suoi sostenitori. Fu da uno di quei carri armati che “Corvo Bianco”, come già veniva chiamato Eltsin, poté arringare la folla e bloccare i golpisti.  

Quando il nuovo potere si fu insediato, Lebed fu promosso vice comandante in capo di tutte le forze militari aerotrasportate e inviato in Moldavia a ristabilire l’ordine, perché quelli di “oltre il Dniestr”, secondo il significato del nome della regione, si erano ribellati contro lo stato centrale, a sua volta già uscito dall’Urss.  

In verità, quando la rivolta diventò guerra civile, le sue truppe, la mitica 14esima Armata,  si schierarono dalla parte dei miliziani e presto sbaragliarono l’esercito moldavo, cristallizzando una situazione politica che ancora oggi aspetta di essere risolta. 

Ma perché era scoppiata la rivolta in Transnistria  e poi la guerra? La cosa andò così. Una volta che la Moldavia era uscita dall’Urss, i nuovi governanti, avendo una voglia matta di cancellare il comunismo e le sue regole, cominciarono con il decretare che il russo non sarebbe stata più la lingua ufficiale e che i caratteri cirillici dovessero essere banditi, tornando a quelli latini.  Una rivoluzione che non a tutti fece piacere. Intanto perché la lingua ufficiale aveva permesso a tutte le comunità, – moldava, ucraina e russa – di intendersi. E poi perché si intuiva da quella decisione che la parte russa della popolazione sarebbe diventata di serie B.  

Iniziarono le manifestazioni di protesta, soprattutto nella parte orientale, in Transnistria appunto, dove si parlava solo russo; che si trasformarono in rivolta e poi in guerra aperta.  

Il conflitto “caldo” vide la Moldavia incoraggiata dalle armi della Romania (che a quel tempo aveva il sogno di allargare i propri confini inglobando i “fratelli” moldavi per fondare  la “Grande  Romania”) e i ribelli sostenuti dall’esercito russo di Lebed.  

Quando finì, dopo circa sei mesi, con la vittoria degli indipendentisti, come sappiamo, fu creata una zona demilitarizzata fra Moldavia e Transnistria controllata da una Forza di pace in cui i russi facevano da padrone, perché ai 335 militari provenienti da Mosca bisognava aggiungere i 490 miliziani della Transnistria, mentre 453 erano i soldati della Repubblica di Moldavia ..

Alla commissione di controllo congiunta più tardi si aggiunsero anche gli ucraini, che presto diventarono il barometro della situazione climatica fra i contendenti: se a Kiev vincevano i filo russi si sceglievano i piani di pace di Mosca, se invece governavano i filo occidentali si privilegiavano quelli dell’Europa e degli Usa. Per modo di dire, però, perché, in realtà, a prescindere da quale piano prevalesse, sul campo non cambiava nulla. 

Transnistria: uno Stato “de facto”

Da uno stallo all’altro, sono trascorsi 30 anni. Oggi la Transnistria è ancora uno Stato “de facto”, nel senso che “de iure” appartiene alla Moldavia e non è riconosciuto da nessuno dei Paesi membri dell’Onu, ma solo da altre entità secessioniste, tipo l’Abcasia e l’Ossetia del Sud (entrambe in Georgia).  

A lungo, inoltre, almeno a partire dalla metà degli anni Novanta, quando l’impero comunista era in piena implosione, il Paese è stato il punto nevralgico di ogni passaggio criminale in Europa, il “buco nero”, come veniva chiamato, dove confluiva ogni tipo di contrabbando, dalle armi alla droga, dal materiale nucleare alla tratta di esseri umani. Un record di presenza della malavita che la Transnistria oggi sembra che non detenga più, sebbene non ci siano certezze a riguardo.

 E torniamo al primo interrogativo: Mosca vuole sul serio impadronirsi della Transnistria? È nel conto. Perché quando Putin ha deciso di sparigliare del tutto le carte in centro Europa, cominciando dal perno principale che regge l’intera impalcatura, invadendo cioè l’Ucraina, non immaginava che qualcosa andasse storto e che dopo oltre 2 mesi di guerra quell’edificio non solo è in piedi, ma non ha nessuna intenzione di crollare.  Se quel blitz è fallito, ora per vincere ha bisogno di allargare il gioco, che scendano in campo tutti i pezzi della scacchiera. La Transnistria è l’ultimo, poi chissà. 

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