Da qualche giorno gira in rete ed è sulla scrivania di Mario Draghi. È l’ennesima lettera con suggerimenti per la transizione ecologica. Somiglia, però, più ad un catalogo di no e porta la firma di Massimo Scalia, Gianni Silvestrini, Gianni Mattioli ed Enzo Naso, esperti di energia e con esperienze politiche alle spalle.
I quattro autori hanno una loro idea di transizione ecologica. Hanno scritto a Draghi allungando l’elenco di associazioni, esperti e manager che si sentono in dovere di indicare le scelte italiane in vista del Recovery plan. Ormai manca poco e così il premier e Cingolani dopo avere parlato con i top manager di Stellantis, Eni, Snam, Enel, Terna, come in un gioco di specchi, hanno davanti anche le idee di persone vicine ai movimenti ambientalisti.
La lettera aperta muove da considerazioni contrarie all’uso del gas naturale. “Signor Presidente nessuno sa meglio di Lei quale occasione rappresenti la prima grande politica economica, industriale e sociale che accomuna tutti i Paesi della UE“. Il gas naturale, per i quattro firmatari, ha assolto al suo compito ed oggi la necessità del suo utilizzo diventa un alibi per chi vuole mantenere il Paese nell’economia e nella cultura fossile.
Messa così, la transizione che Cingolani sta approntando, si complica, perché la transizione sarà molto graduale, al di qua di ogni enfasi. Il disegno di un hub italiano del gas, infatti, in prospettiva sarebbe da abbandonare, minando alla radice tutti gli investimenti e i piani per assicurare per i prossimi 10-12 anni quella fonte al sistema Paese.
Per l’elettricità, per esempio, nella lettera viene ricordato che gli impieghi sono già in parte assicurati dalle fonti rinnovabili e lo saranno ancor di più in rapporto agli investimenti previsti. É vero, le Company hanno in budget soldi per le rinnovabili e non arretreranno. Ma l’abbandono delle condutture di trasporto gas non è affatto così vicino. Tanto più che ci sono progetti per produrre idrogeno da quella fonte ed incrementare i livelli distributivi. ”Ogni investimento nel gas naturale è una sottrazione di risorse a una politica di espansione delle fonti rinnovabili” ribattono Scalia, Silvestrini, Mattioli e Naso.
Scrivono di avere, in passato, contribuito a disegnare l’attuale struttura energetica italiana – niente nucleare, stop al carbone, grande spazio al gas naturale, sviluppo delle fonti rinnovabili – ma ora chiedono di fare nuovi e diversi passi in avanti. Come? Magari con 80 gigawatt di fotovoltaico al 2030 e ad almeno 25 di eolico (un po’ off-shore) come credibile opzione anche per la produzione di idrogeno verde da fonti rinnovabili. Ma qui si pone un nuovo problema: come averlo a disposizione quell’idrogeno verde?
Altro progetto nel mirino dei quattro ambientalisti, segnalato nella lettera a Draghi, è il Carbon Capture and Storage (CCS) dell’Eni nell’area di Ravenna. Alla base dell’opposizione è il fatto che il Ccs di Ravenna viene considerato in “competizione” rispetto alle risorse da destinare allo sviluppo delle rinnovabili. Va ricordato però che quel progetto sta in piedi da anni e la sua realizzazione risolverebbe molte questioni in un’area storica degli idrocarburi italiani. Quanto pesa essere contrari oggi? Del resto se nella lettera gli scienziati parlano anche di “distretti industriali per le fonti rinnovabili” è auspicabile che il governo saprà trovare le giuste ed equilibrate soluzioni.
Ravenna può essere un test strategico anche per altre situazioni. Bocciarlo a tavolino non incontra nemmeno il consenso delle parti sociali, oltre a congelare un investimento superiore al miliardo di euro.
Altro no alle bozze di Cingolani: la fusione nucleare. Si, il tema non appassiona gli italiani. Tuttavia sebbene si parli di nucleare di nuova generazione, qui viene respinto anche nelle sperimentazioni. Inseguire quella “fonte energetica universale [delle stelle] è proporre un universo datato e distopico, sostanzialmente ortogonale alle strategie e alle politiche che caratterizzeranno in concreto il percorso UE”, si legge nella lettera. Per poi affossare il megaprogetto di Enea del Divertor Tokamak Test (DTT) dal costo di 600 milioni di euro.
Fermate tutto, in definitiva, viene fuori dalla lunga lettera. C’è da chiedersi, allora, se e come saranno valutate queste idee. Gli interessi e i ragionamenti in campo sono molteplici e benché siano trasversali a tutti i gruppi politici che sostengono Draghi, devono permettere al Paese di arrivare al 2030, al 2050 senza traumi energetici.
Già la pandemia ha fatto cambiare rapidamente ipotesi e scenari. Il fatto non trascurabile é che il declino delle fonti fossili non sia dietro l’angolo. Vorrà dire qualcosa, secondo l’Opec, che la domanda di petrolio di 5,95 milioni di barili al giorno nel 2021 salirà del 6,6%. Quante altre volte si riscriveranno le previsioni datate 2021? La “speranza che l’Italia sarà in grado di presentare una proposta emendata da vaghezza su tempi e obiettivi, da incongruità con la consolidata strategia energia/clima della UE, dal prevalere di interessi aziendali e da vecchi miti ” – per usare le parole dei quattro firmatari della lettera – dovrà fare senz’altro i conti con molto pragmatismo.