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Transizione ecologica, Ferri: “Ministero sì, ma serve una visione d’insieme”

INTERVISTA all’economista GIOVANNI FERRI che spiega perché il nuovo ministero è utile e con quali caratteristiche dovrà nascere per avere successo in un settore chiave per la ripresa economica e per l’ambiente – “E’ indispensabile avere una visione di sistema, competenze finanziarie, capacità di spesa”

Transizione ecologica, Ferri: “Ministero sì, ma serve una visione d’insieme”

Il nuovo ministero per la Transizione ecologica non è solo un assist al Movimento 5 Stelle, sarebbe del tutto semplicistico e riduttivo valutare così la nascita del nuovo dicastero nel governo Draghi. Lo afferma Giovanni Ferri, professore ordinario di Economia politica alla LUMSA e editorialista di FIRSTonline, in questa intervista in cui spiega le ragioni economiche (e non solo politiche) che spingono verso questa direzione. La verità è che la transizione ecologica non è un tema esclusivamente ambientale e “c’è bisogno di avere una visione del sistema socio-economico a tutto tondo” che solo un ministero può assicurare. Dovrà avere “competenze finanziarie, capacità di spesa e di controllo sistematico delle spese” o si trasformerà facilmente in un flop che nessuno può permettersi su un tema cruciale per il pianeta e per la ripresa. Ecco cosa Ferri ha detto a FIRSTonline.

Professore, si parla molto di transizione ecologica. Esattamente di che si tratta?

“La transizione ecologica è un processo che riguarda tutti gli aspetti del mondo della produzione e della distribuzione. Essa implica il ripensamento di tutti i processi produttivi e distributivi in modo da rispettare di più l’ambiente. Noi siamo abituati a pensare a processi lineari, in cui, cioè, si introducono fattori produttivi (input) come le materie prime, le quali, attraverso il processo di produzione, vengono trasformate in prodotti veri e propri (output), i quali, a loro volta, sono prima distribuiti e poi venduti. Lo scarto di produzione o le rimanenze della vendita non fanno parte dell’idea lineare con cui abbiamo descritto questa catena economica.

Al contrario, oggi ci dobbiamo muovere verso un’economia circolare, cioè con processi produttivi, distributivi e commerciali di tipo circolare, dove, cioè, ciò che viene scartato in un processo produttivo viene già pensato – sin dall’inizio – come elemento da valorizzare, ad esempio come materia prima in un processo produttivo completamente diverso.  Credetemi: la creatività umana, da questo punto di vista, è grandiosa”!

A che punto è l’Italia nel processo di transizione ecologica?

“Nel confronto con gli altri paesi avanzati, l’Italia è avanti ‘concettualmente’ e dal punto di vista delle capacità progettuali, tuttavia è generalmente più indietro nella capacità realizzativa.

È più avanti rispetto ai Paesi in via di sviluppo”.

Ha senso creare un Ministero ad hoc per la transizione ecologica e quali competenze dovrebbe avere?

“Molti pensano che la creazione annunciata di un Ministero per la transizione ecologica sia solo una sorta di assist fatto a uno dei partiti politici. Può essere che ci sia anche questa motivazione, ma guardare all’istituzione del Ministero per la transizione ecologica solo da questo punto di vista sarebbe troppo superficiale.

In realtà questo tipo di sviluppo – a livello di organizzazione delle competenze di governo dei Paesi – si è già diffuso, ad esempio in Francia e Spagna! È necessario che si tratti di una struttura che ha anche competenze finanziarie, capacità di spesa e di controllo sistematico delle spese: solo un Ministero è, a mio avviso, la struttura adatta a perseguire lo scopo. Non solo: deve esistere un concetto condiviso di futuro e una capacità di coordinamento tra decisori centrali e locali, perché se non si ha in mente la stessa strada da percorrere e non c’è coordinamento tra i vari ‘attori/decisori’, si prospetta un fallimento strategico, che nessuno, ormai, può più permettersi. C’è dunque bisogno di un nuovo Ministero per la transizione ecologica”.

Quali nuove professionalità e competenze deve avere chi si occupa di sostenibilità e di transizione ecologica?

“La transizione ecologica non è un tema esclusivamente ambientale. Mario Draghi – nei vari tavoli – ha collegato spesso questo tema alla coesione sociale. Non a caso, sulla transizione ecologica, sono state sentite anche le parti sociali. C’è bisogno di avere una visione del sistema socio-economico a tutto tondo: non è possibile essere solo specialisti o assicurare che le competenze siano concentrate in una sola organizzazione. Assicurare la sostenibilità di un sistema significa avere una visione olistica dei problemi e delle soluzioni. Solo così si possono tenere insieme tutti i processi e si può avere la capacità di governarli in modo unitario. 

Molte delle competenze necessarie sono di tipo manageriale – ad esempio di decisione, coordinamento e supervisione – e di certo le sole competenze teoriche su come si fa sviluppo sostenibile non saranno minimamente sufficienti. Bisognerà saperle mettere in pratica, presto e bene, perché la transizione ecologica è l’unica vera priorità per tutti.

Lo stesso settore privato avrà bisogno di queste competenze, perché la transizione ecologica è anche un business in cui competere e fare profitto”.

La pandemia ha accelerato il processo verso la transizione ecologica?

“All’inizio si temeva che la pandemia bloccasse la transizione green e addirittura qualcuno pensava che la recessione economica avrebbe consentito di poter attingere ai fondi dello European Green Deal anche per investimenti poco sostenibili. Così non è stato e la pandemia ha reso ancora più evidente – anche a chi non ha voluto capire – che il nostro futuro è a rischio e che solo una rivoluzione ecologica può assicurare un futuro alle prossime generazioni.

Non solo: tutti i fondi della Next Generation EU hanno una forte condizionalità ambientale e circa il 40% dei fondi è destinato alla sostenibilità: la vera sfida sarà saper spendere bene i soldi, adottando, nei termini previsti, investimenti davvero efficaci”.

A proposito di efficacia degli investimenti: qual è la condizione necessaria per sperare in risultati positivi di sistema?

“Nel breve periodo occorre investire sull’ecologia, è ormai chiaro. Ma anche sul digitale, perché le innovazioni a cui siamo chiamati hanno spesso bisogno di un’infrastruttura digitale e il nostro paese è molto in ritardo anche da questo punto di vista. Più in generale, le infrastrutture chiedono la nostra massima attenzione: pensiamo a quello che è successo con i servizi pubblici come la scuola e il trasporto, messi duramente alla prova dalla pandemia che, quindi, ne ha rivelato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la fragilità e inadeguatezza”.

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