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Transizione ecologica, Cingolani vuole 80 miliardi

Imagoeconomica

 La transizione ecologica avrà un consistente pacchetto di risorse: “Il piano di ripresa italiano allocherà 80 miliardi di euro in 5 anni in progetti verdi che riguardino una accelerazione della de-carbonizzazione, con riduzioni che potranno arrivare sicuramente al 55%, puntando al 60% delle emissioni al 2030”. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani lo ha annunciato mercoledì nel corso di una conversazione telefonica con l’Inviato Speciale per il Clima del Presidente degli Stati Uniti, John Kerry, in viaggio nelle grandi capitali europee.

Ma quale parte avreanno le tecnologie nel piano di transizione ecologica che il governo presenterà a breve? “Mi sono dato qualche mese per creare un documento di visione che rimanga per le future scelte”, ha detto Roberto Cingolani. Tra i punti che il ministro dovrà esaminare a fondo c’è, appunto, quello delle tecnologie, le innovazioni più adatte a portare l’Italia sulla giusta strada della decarbonizzazione. Attualmente il deficit è alto e nessun provvedimento di sostenibilità finora adottato ha contribuito ad innalzare concretamente il livello delle capacità produttive a basso impatto ambientale. È superfluo ricordare che nei laboratori e nei centri italiani ci sono scienziati e ricercatori di assoluta qualità? Il paradosso è che da un lato si lavora su idrogeno, biogas, fotovoltaico e dall’altro – nel 2020 – il Paese ha speso 2,2 miliardi di euro per tecnologie ecocompatibili.

Nell’annus horribilis per la pandemia i consumi di energia sono scesi del 10%, le emissioni di CO2 del 12%, la spesa tecnologica applicata alle fonti di energia è cresciuta del 27%. Un tetto altissimo, dice il Report dell’Enea sull’andamento energetico nazionale. Siamo andati sui mercati per comprare tecnologie low carbon, veicoli elettrici, macchine ibride e batterie. Tutte cose che con una diversa impostazione economico-industriale e con i dovuti sostegni alla ricerca avremmo evitato di spendere. O almeno in quella misura. L’incidenza finale è stata del 56% sull’intero import dell’anno. Nell’insieme il disavanzo commerciale per tecnologie green è stato di 1,1 miliardi di euro, a fronte di una riduzione del 14% dell’import totale delle merci.

Le rinnovabili non sono più un tabù nel sistema Italia. Occupano una quota del 20% nel mix produttivo e di poco superiore (+3%) ai tetti Ue per il 2020. “Ma – spiega Francesco Gracceva dell’Enea – se i consumi totali fossero rimasti sui livelli del 2019 la quota di rinnovabili si sarebbe fermata poco oltre il 18 %, a conferma del fatto che la progressione verso il target stabilito nel Piano Energia e Clima per il 2030 (30%) rimane lenta”.

Sui territori sono rallentate le installazioni di nuova capacità elettrica rinnovabile. Per cui alla fine sono 1/4 di quelle necessarie a stare il passo con le indicazioni dell’Ue. Ingiustificabile per chiunque disegni nuovi scenari, al costo di pentirsi di tante incomprensibili battaglie false ambientaliste. La lungimiranza di una vera strategia green deve, dunque, fare affidamento sulla serietà e sull’esperienza delle strutture italiane. Per competere adeguatamente per i prossimi anni la sintesi che Cingolani dovrà cercare sta nella centralità dell’accumulo di energia prodotta e nella digitalizzazione spinta delle reti e dei servizi. In un nuovo sistema che mette insieme produzione, distribuzione e storage, come risposta anche transitoria al fatidico 2050 dell’Europa.

Fonti fossili e rinnovabili staranno insieme almeno per i prossimi dieci anni, beninteso a valle di una riduzione dei contributi statali alle fossili. Le aziende lo sanno e per questo sono partite molto prima della politica, la quale in questa fase dovrebbe studiare meglio i bilanci e piani di sviluppo per imparare a programmare in ricerca, brevetti, minore import tecnologico, interazione. I dati Enea in fondo ci dicono questo. Con l’avvicinarsi della scadenza del Recovery plan vedremo le reali scelte del governo. L’ampiezza di vedute rispetto a buchi di sistema così grandi da coprire con nuove infrastrutture, servizi alle persone e alle imprese, sburocratizzazione e piattaforme veloci. L’esperienza negativa del “fu” Piano Colao del Conte 2 ha lasciato buoni propositi rimasti negli archivi, ma ci porta a credere che il governo Draghi andrà per tutt’altra strada.

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