Il leader del partito dei Fratelli musulmani, ingegnere con un master negli Stati Uniti, è ufficialmente il primo presidente non militare eletto democraticamente in Egitto. E’ una vittoria importante per il Paese nord-africano, dove le forze armate hanno il potere dall’instaurazione della Repubblica nel 1952. Giustizia e Libertà, il partito islamista dei Fratelli musulmani, rappresenta il movimento religioso più influente e meglio radicato sul territorio di tutto il mondo arabo. Non è dunque un caso che Mohamed Morsi sia riuscito a battere il suo oppositore nonché ex primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq.
Ma oltre l’importanza storica della vittoria del Fratello Musulmano, bisogna riconoscere che nelle sue mani i poteri rimangono ancora limitati, se non nulli. Morsi, infatti, sarà solo un presidente di transizione, non avrà nessun tipo di potere esecutivo. Le forze armate continuano a tenere il coltello dalla parte del manico ma hanno trovato un equilibrio con il leader civile: i militari gestiscono la sicurezza e la politica estera, mentre Morsi cercherà di recuperare la debole economia e le fragili istituzioni. E Morsi sembra essere l’uomo giusto per farlo: piace alle potenze straniere, Stati Uniti in primis, e il presidente del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, si è subito apprestata a ricordare al nuovo presidente egiziano la sua disponibilità per un prestito da 3,2 miliardi di dollari. Prestito che, se si verificasse, sarebbe per l’Egitto il legame definitivo con gli Usa e il mondo occidentale.
Le sfide che si prospettano per l’Egitto nelle prossime settimane sono la scrittura della nuova Costituzione, le elezioni parlamentari, la relazione tra i militari e i civili, e la natura, presidenziale o parlamentare, del sistema politico. La bravura di Morsi starà nel riuscire a non rimanere schiacciato tra i generali e le aspettative del egiziano, che già iniziano a farsi sentire. Ma con il sostegno internazionale potrebbe non risultare un obiettivo così difficile.
E per quanto riguarda il rischio di una deriva islamista? Secondo il professore di relazioni internazionali della London School of Economics (Lse), Fawaz Gerges, il potere dei militari è molto più pericoloso. I Fratelli musulmani hanno un partito relativamente moderno e accettano valori democratici nel forgiare il futuro politico della loro società. Negli ultimi anni il partito si è affermato come alternativa all’ordine autoritario e ha investito notevolmente nella costruzione di social network e reti a livello locale e nazionale.
Non bisogna dunque temere l’esplosione del potere islamico per tre motivi. Primo, i Fratelli Musulmani si stanno lentamente allontanando dalla loro visione tradizionale che gli chiedeva di imporre la legge islamica e piuttosto vogliono creare un “Islam civile” che permei la società e accetti il pluralismo politico. In secondo luogo, i partiti islamici sono sempre più consapevoli che la legittimità politica e la possibilità di rielezione si situa nell’abilità di offrire posti di lavoro, di ottenere crescita economica e dimostrare trasparenza. L’esempio della Turchia e del suo successo economico ha avuto un grande impatto su tutti i partiti arabi che hanno compreso che capitalismo e islamismo sono mutualmente rinforzanti e compatibili. E la stessa Turchia inizia a guardare al caso egiziano con interesse. In terzo luogo, infine, i Fratelli musulmani hanno dimostrato di voler lavorare con i paesi occidentali quando gli interessi convergono.
Ma il fantasma dei militari continua ad aleggiare sull’Egitto. Ma se nel breve periodo i militari possono continuare a guidare il Paese, nel lungo periodo combatterebbero una battaglia persa. E’ maturata un’opinione pubblica che ha costretto i generali a ritirarsi e una classe politica che è sempre più convinta che le forze armate debbano lasciare il potere a un’autorità democraticamente eletta. In questo senso il trionfo di Morsi è il primo passo verso la fine del dominio dei miliari in Egitto. Perché sono loro, non gli islamisti, l’unica vara minaccia alla stabilità del Paese.